AURORA
Marzo-Aprile 2010

Contenuto Di Questo Numero

  1. Celebriamo La Nostra Pasqua Marzo 28-2010
  2. La Preghiera
  3. L’Amore Il Vero Segno Della Distinzione
  4. Il Timore Dell’eterno (continuazione dell’articolo Gennaio-Febbraio)
  5. La Resurrezione Di Gesu

Celebriamo La Nostra Pasqua Marzo 28-2010

OGNI ANNO LA CELEBRAZIONE della morte del nostro Redentore appare sempre più solenne e più ricca di insegnamenti. Il fatto stesso che la data non è fissa e deve essere calcolata seguendo il criterio adottato dal popolo d’Israele ne aumenta l’importanza e richiama alla nostra mente le diverse particolarità del tipo pasquale e del suo compimento nella morte dell’Agnello di Dio. “La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata.”—I Cor. 5:7

La dura schiavitù d’Israele sotto Faraone, l’iddio o capo dell’Egitto, illustra la servitù e la corruzione nella quale “la creazione geme insieme ed è in travaglio,” soccombente sotto una tirannia di peccato e di morte. Faraone è il simbolo di Satana ‘l’Iddio di questo mondo.’ Nella liberazione di tutto il popolo d’Israele guidato da Mosè noi vediamo la liberazione di tutti quelli che adorano Iddio e rispettano le sue leggi, sotto la direzione di colui che è più grande di Mosè, Cristo, durante il millennio. Nella caduta di Faraone e delle sue armate noi abbiamo il tipo di quella distruzione – nella seconda morte—di Satana e tutti quelli che seguono le sue orme. Queste benedizioni sono l’illustrazione della Pasqua auti—tipica di cui Cristo è la figura centrale.

Le Scritture ci parlano di nostro Signore come dell’Agnello immolato, “ben preordinato avanti la fondazione del mondo.” I versetti in I Pietro 1:20 ed Apoc. 13:8 mostrano che tutti i dettagli della Pasqua erano chiaramente concepiti nel piano di Dio e ciò non solo dopo la caduta di Adamo ma molto tempo prima della sua creazione. Ora, per quanto Iddio manifestò all’uomo nella caduta, solo la sua giustizia rivelò il suo amore con la prima venuta di Gesù, questo amore per le Sue creature fu nel Suo cuore fin dal principio.

La liberazione della Pasqua rappresenta le benedizioni millenniali; così la notte di Pasqua rappresenta l’età dell’Evangelo durante la quale tutti coloro che si confidano in Dio attendono da Lui la salvezza. In questa età la “famiglia della fede” si nutre del pane senza lievito della verità, unito alle erbe amare delle prove, delle sofferenze e della disciplina; la Chiesa dei ‘primogeniti’, sotto la protezione del sangue dello Agnello, passa dalla condanna alla giustificazione, dalla morte alla vita.

Per questa ragione noi celebriamo, nella Pasqua, una festa di gioia nel Signore, nutrendoci dell’Agnello, del pane senza lievito e delle erbe amare. Per questo motivo, inoltre, noi ne osserviamo la commemorazione annuale ‘perchè la nostra Pasqua, cioè Cristo è stata immolata. Celebriamo dunque la festa.”—I Cor. 5:7

Ecco ciò che il nostro Maestro ordinò a tutti i suoi discepoli di osservare: “Poichè ogni volta (anno dopo anno) che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finchè egli venga…” ‘fate questo in memoria di me.’—I Corinzi 11:24-26; Luca 22:19-20

Durante i secoli l’Avversario ha velato gli occhi del popolo di Dio su questa semplice cerimonia della Chiesa primitiva, conducendolo verso la messa romana o verso la celebrazione trimestrale, mensile o settimanale della Santa Cena.

E’ doloroso constatare come i credenti abbiano potuto perdersi dietro questi errori quando siamo stati tutti condotti, per grazia, alla conoscenza della verità su “Cristo, la nostra Pasqua, immolata per noi,” in onore del quale noi, primogeniti, la celebrriamo.

Continuando fedelmente il cammino sulle orme di Cristo, nostro Maestro, noi non saremo più privati delle benedizioni che il Signore ci ha promesso. “Celebriamo dunque la festa.” E come i credenti consacrati costituiscono sicuramente “la Chiesa dei primogeniti” così vi sarà la liberazione per tututo il rimanente della famiglia della fede, sotto la guida del Primogenito (Cristo), allo stesso modo di ciò che ebbe luogo per tutti gli Ebrei, guidati da Mosè.—Atti 3:23

LA NOTTE CHE FU TRADITO

Quanto è più solenne e toccante celebrare un fatto importante lo stesso giorno dell’anniversario; ricordandoci i fatti, le parole gl’insegnamenti e mettendoci accanto al personaggio principale di questo dramma, la piu grande storia dell’uomo-che orosono 19 secoli si concluse sul Calvario! Come cio fortifica la nostra fede nella divina Provvidenza! Noi vediamo e ricordiamo con piu forza e vigore che Dio aveva predeterminato il giorno, l’ora precisa e l’anno in cui la tragedia doveva realizzarsi, in modo che pure essendo viva fra i Giudei, il desiderio di prendere Gesù e metterlo a morte, nessuno – prima d’allora, pote mettere la mano su di lui perche, “la sua ora non era ancora venuta.” Il momento perciso di questo avvenimento non solo ara stato simboligiato con esattezza rigorosa, attraverso i secoli dalla Paqua Ebraisa, me Gesù stesso, allorche il momento giunse disse: ‘Padre, l’ora e venuta.’ (Giov. 16:21) E nell’istituire il pane ed il vino in commemorazione della sua morte, come Agnello anti-tipico, attese che l’ora fosse venuta. ‘E quando l’ora fu venuta, Egli si mise a tavola con i dodici apostoli. Ed Egli disse loro: ‘Ho grandemente desiderato di mangiare questa Pasqua con voi prima di soffrire.’—Luca 22:14-15

CELEBRIAMO LA FESTA

Con fedelta e diligenza simile alla celebrazione che ebe luogo nell’alto solaio diciannovi anni orosono con Gesù ed i suoi cari Apostoli, non in un mese qualsiese, non in un giorno qualsiasi, ma solo nel giorno dell’anniversario stesso.

L’osservanza della cena commemorativa è un privilegio ed un’occasione per riunirci tutti nel nome del Maestro. La, cosa principale, dunque, è di avere una data unica per la celebrazione della morte di Gesù, lo Agnello di Dio, riscatto per tutti. “La nostra Pasqua, cioè Cristo, è stata immolata.” Cleberiamo dunque la ricorrenza. Questo e nient’altro dobbiamo fare in memoria di lui ed a conferma del nostro voto o promessa di modellare la nostra vita sulla sua. Ne deduciamo, perciò, che il momento più appropriato per celebrare la cena commemorativa—come la festa dei pani senza lievito celebrata dai Giudei—è il 14 di Nizan, dopo il tramonto che quest’anno cade il 28 di Marzo. Il nostro Signore istituì la cena, che poi ordinò ai suoi discepoli di osservare, nell “notte che fu tradito,” Era allora il 14 di Nizan.

Gesù ed i suoi discepoli, essendo Giudei, si trovavano nell’obbligo di osservare la Pasqua ebraica che consisteva nel mangiar insieme della carne di agnello con delle erbe amare, del pane senza lievito e bere del vino. Noi non siamo più tenuti a conformarci a queste formalità, che sono annullate per sempre perchè adempiute in Cristo. Fu dopo il pasto della Pasqua ebraica che Gesù istituì la nuova, memorabile cena in commemorazione del suo sacrificio.

Non si può con esattezza affermare se il lavaggio dei piedi dei discepoli, da parte di Gesù, ebbe luogo prima o dopo la cena della Pasqua, ma con molte probabilità fu dopo. (Matteo 26:26) Ciò avvenne per dare un esempio di umiltà: lezione necessaria per gli apostoli che sembravano ancora presi da uno spirito di reciproca rivalità quanto ad un primato degli uni sugli altri.

Comunque sia, tale atto d’umiltà non fece parte della cena, nè fu ordinato ai discepoli di Cristo di farne una consuetitudine. Il significato di quella lezione per gli apostoli fu che essi non avrebbero dovuto evitare alcuna occasione, anche la più piccola, per aiutarsi e consolarsi reciprocamente.

“QUESTO È IL MIO CORPO”

Secondo tutte le evidenze fu immediatamente dopo aver celebrata la Pasqua ebraica che nostro Signore prese del pane senza lievito, lo benedisse lo ruppe e lo diede ai suoi discepoli dicendo: “Prendete, mangiate; quest’è il mio corpo.”—Matteo 26:26; Marco 14:22; Luca 22:19

Le Parole: “Quest’è il mio corpo” hanno dato origine a dispute senza fine attraverso i secoli. Il fondamento della controversia, secondo la dottrina cattolica della messa, è nella considetta transustanziazione. Si pretende infatti, che alla benedizione del prete il pane si trasformi in carne autentica di Gesù che lo stesso prete adora e rompe (sacrifica, cioè, di nuovo il Figliuol di Dio) per i peccati di coloro per i quali la messa è celebrata.

Per dare a questa pratica una base scritturale, si rivestono di grande importanza le parole di Gesù: “Quest’è il mio corpo,” allo scopo di provare che il corpo è nel pane e, perciò, la necessità di rompere e ripetere continuamente il sacrificio.

Ma tutta la questione appare più che semplice nella realtà se ci ricordiamo che Gesù, quando pronunziò quelle parole, non era ancora morto. Egli dunque non poteva ripetere un sacrificio che non era stato ancora eompiuto. Egli era ancora carne ed in lui nessun cambiamento era avvento. Il pane (puro) senza lievito rappresentava in quella cena memorabile, il nostro Signore, pane celeste, del quale noi avremmo dovuto essere nutriti per ottenere la vita eterna. Tutto ciò implica che questo pane, per servire al consapevole scopo, avrebbe dovuto essere rotto. E così vediamo che per Gesù fu necessario non solo di discendere dal cielo ma anche di essere spezzato nella morte—in favore dei nostri peccati—prima che noi avessimo potuto riceverne i benefici effetti.

IL SANGUE DEL NUOVO PATTO

Il “frutto della vigna” fu aggiunto al pane come elemento della Santa Cena e Gesù spiegò che esso rappresentava il suo sangue ‘il sangue del nuovo patto il quale è sparso…in remissione dei peccati.’ (Matteo 36:28) Quale immagine magnifica del prezzo di riscatto in favore dei peccati del mondo! Il pane rotto ci spiega una parte di quell’ammaestramento; il ‘calice’ ne insegna un’altra. Non solo noi abbiamo bisogno di nutrimento, di forza, di soccorso per ritornare a Dio ed alla sua grazia ma abbiamo altresì bisogno del sangue prezioso, della vita di nostro Signore quale prezzo della nostra redenzione e liberazione da una sentenza di condanna.

I discepoli di Cristo devono per fede partecipare al “pane” ed al ‘calice’ e non altrimenti. Ma v’è dell’altro; l’apostolo ci mostra un’altra considerazione sulla cena commemorativa e cioè che quelli che prendono parte ad essa—significando così la propria partecipazione ai meriti del Signore—sono da lui considerati come membra del suo copro, essendo rotti con lui. Così la nostra vita, consacrata al suo servizio sotto la sua direzione, deve essere tutta una partecipazione al suo sacrificio. Le parole dell’apostolo suonano chiare: ‘il calice della benedizione, il quale noi benediciamo, non è egli la comunione del sangue di Cristo? Il parne che noi rompiamo, non è egli la comunione del corpo di Cristo? Perciocchè vi è un medesimo pane, noi, benchè molti, siamo un medesimo corpo; poichè partecipiamo tutti un medesimo pane.’—I Corinzi 10:16-17

Come sono profondi gli insegnamenti del Signore! E più noi scrutiamo di queste profondità, più scopriamo nuove bellezze; gli occhi del nostro intendimento si aprono in misura tanto maggiore quanto più sappiamo quelle bellezze apprezzare con tutto il nostro cuore. Celebriamo dunque la festa nei due sensi; nell’appropriarci e nutrirci sia del grande sacrificio compiuto per noi dal nostro Redentore sia dei tesori di grazia che ci sono accordati per i suoi meriti. Consacriamo, dunque, la nostra vita al suo servizio ed a quello dei fratelli “compiendo nella carne ciò che resta a compiere nelle afflizioni di Cristo.” (Colossesi 1:24) ‘Ciò che resta’ non vuol dire che il nostro Signore non potè soffrire per tutti o che le sue sofferenze non furono sufficienti per tutti, ma significa un auspicio per noi di partecipare alla sua natura ed alla sua gloria a cui possiamo giungere partecipando, come membri del suo corpo, alle sue sofferenze ed al suo sacrificio.

ANNUNZIATE LA MORTE DEL SIGNORE

Noi esortiamo i fratelli nel Signore, dovunque essi siano, ad unirsi a noi per la celebrazione della Cena Commmemorativa, nel giorno dell’anniversario summenzionato. Riunitevi con tutti coloro che professano le pura fede e che sono consacrati. Eventuali considerazioni necuniarie non siano il nostro impedimento. Una festa spirituale col Signore e con tutti coloro che ne celebrano la memoria in sincerità val meglio di qualsiasi sacrificio. L’uomo non vive di pane solo ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio.

Ugualmente i fratelli solitari, che non possono unirsi ad altri, devono celebrare la Cena commemorativa. In comunione di spirito e di cuore, nel legame profondo della fede e della consacrazione, al cospetto di Dio non v’è solitudine. Questi fratelli preparino, dunque, gli elementi della Cena ed alla stessa ora in cui tutti si accingono a fare altrettanto prendano parte al pasto spirituale.

Ma non permettiamo che i preparativi assorbano le nostre menti in modo tale da farci dimenticare il significato dei simboli. Prepariamoci, invece, con la preghiera nei giorni precedenti a quelli della Pasqua e continuiamo nella preghiera e nelle meditazione nei giorni susseguenti.

Raccomandiamo a tutti di separarsi con calma dopo la riunione e che si prendea esempio da quella che lo stesso Signore presidette: “E dopo ch’ebbero cantato l’inno se ne uscirono…” (Matteo 26:30) Lasciamo da parte i nostri saluti abituali ed andiamo, invece, con la nostra mente al giardino del Getsemane, alla corte del sommo sacerdote, a Gesù dinanzi a Pilato, ad Erode, a Pilato di nuovo, al Signore percosso schernito, condannato a morte da una folla bestiale ed urlante, al Figliuol di Dio sotto il peso della croce sulla via del Golgota, crocifisso per i nostri peccati…

C.T.R.



La Preghiera

INSEGNACI A PREGARE, la nostra considerazione è basata su Luca 11:1 E avvenne che Egli si trovava in un certo luogo a pregare e, come ebbe finito, uno dei suoi discepoli gli disse: ‘Signore insegnaci a pregare, come Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli.’ Il racconto per quanto laconico, contiene uno degli insegnamenti più sorprendenti del Vangelo. Quel discepolo infatti, finora aveva creduto di saper pregare. In effetti pregava diverse volte ogni giorni, e sin dalla più tenera infanzia. La preghiera faceva parte della routine quotidiana. Aveva pregato migliala di volte, nel privato, durante le funzioni religiose e in famiglia. La preghiera rappresentava molto nelle sua vita ne, in definitiva, avrebbe anche potuto prescinderne, questo prima che la sua vita cambiasse radicalmente.

Israele aveva il repertorio di preghiere più profonde dell’antichità, (il libro del SALMI più le preghiere della Sinagoga), esse erano solitamente recitate in ebraico, lingua quasi morta in quell’epoca, lo conoscevano gli eruditi, ma veniva più che altro conservato come lingua liturgica, in modo analogo con ciò che è stato fatto con il latino, durante i secoli cristiani, nella tradizione cattolica. Anche oggi, perché una benedizione o una preghiera sia valida, pronunciata in un’altra lingua, deve contenere la stessa idea contenuta nel testo ebraico e prevedere la formula di base nel “Beracho” (trattato sulle benedizioni e sulle preghiere).

Dopo aver visto Gesù, aveva scoperto che le sue non erano altro che psèudo preghiere. Pregare veramente era un’altra cosa! Nel corso del suo discepolato con Gesù, avrebbe appreso che, nella vita religiosa, si può rinunciare ad alcuni aspetti rituali, ma che occorre cogliere l’essenza della spiritualità, qualcosa che si può conservare anche nella solitudine più profonda, in carcere, quando non si può contare su niente e su nessuno, quando in definitiva si può fare a meno di tutto, tranne della preghiera, vero cibo dell’anima. La sua esperienza gli avrebbe dimostrato, in modo sempre più chiaro che, di fronte alla preghiera, tutto il resto è secondario. É possibile essere un credente senza iscriversi a nessuna confessione religiosa. Allo stesso modo si può accettare una scala di valori propri d’una religione senza compierne i riti, ma è impossibile avere una vita spirituale senza pregare. Nel numero del credenti, sempre meno numerosi, che fanno parte della nostra società, ve ne sono molti che praticano riti e partecipano alle cerimonie della loro religione: si battezzano, si sposano, vengono sepolti secondo le usanze della loro Chiesa. Quanti tra di loro vivono l’esperienza della preghiera?

Essendo la religione una relazione, la preghiera ne è l’espressione completa. La Bibbia ci mostra chiaramente il rischio insito nell’interrompere questo legame. Il suo fine principale, poi ve ne sono altri, è quello di avvicinarci a Dio. Detto così può sembrare banale, elementare, ma non lo è poi tanto. Quando la relazione non si stabilisce, la preghiera è una semplice formula, un’abitudine, un esercizio nulla di più. Può senz àltro essere una buona cosa, perché le buone abitudini rimangono tali anche se praticate automaticamente. Tuttavia, se quello che chiamiamo preghiera non ci mette realmente in comunicazione con qualcuno, essa è nient’altro che autosuggestione, un’illusione, una terapia come un’altra. E’ deplorevole che, al posto di entrare in una relazione privilegiata con qualcuno, mi accontenti di un gesto che ottiene il solo risultato di concentrami su me stesso.

Invece se la preghiera è vissuta come un’incontro, convertendosi in qualcosa di estremamente importante, si tratterà allora di prendere contatto con la Fonte della vera saggezza e l’Origine di tutti i valori. In questo senso, pregare significa riconoscere il fatto che l’IO non è il centro del mondo. Il centro della mia esistenza è lassù, infinitamente fuori e al di sopra di me, nello stesso tempo però tanto vicino e tanto radicato in me da sorprendermi di entrare in contatto con quella Fonte, in quallsiasi momento e in un istante. Pregare diventa, in questo modo, riconoscere che esistere è qualcosa di più di quello che sperimenta la mia esperienza d’ogni giorno. Ho la possibilità di accedere ad una vita qualitativamente superiore, d’estenione limitata, e questo ad un passo da me. Una semplice vera preghiera, annulla la distanza esistente tra la mia esistenza, a volte così mediocre, ma cosi meravigliosa, e Colui che dà significato ad ogni realtà. Chi non prega, non si rende conto di ciò che perde. La sua vita può essere moralmente irreprensibile, ricca di valori, mancherà tuttavia una reale prospettiva, avendo escluso dalla propria vita ciò che avrebbe potuto elevarla ad una dimensione relazionale realmente superiore. L’apostolo Paolo dice che “guardando a viso scoperto, come in uno specchio, la gloria del Signore, veniamo trasformati a sua immagine di gloria in gloria, mediante lo spirito.”—2 º Corinti 3:18

C: S: Lewis ha scritto un opuscolo denso di umorismo, (Le lettere di Bernicche, Milano 1991, P. 17-20), qualcosa che illustra bene quello che voglio dire. Agenti infernali hanno affidato ad un povero diavolo apprendista la prima missione terrestre: deve occuparsi di un giovane, naturalmente buono ed eccezionalmente sano, fino a corromperlo. Il ragazzo vive, in effetti un’esperienza spirituale davvero autenica, per questo è finito sui taccuino speciale di Lucifero. Ė un caso così difficile che il diavolo novizio deve ricorrere all’aluto di un demonio più esperto. Il libro mette insieme l’lpotetica corrispondenza dei due sbirri di Satana.

Il diavolo esperto raccomanda al novizio di concentrare i suoi attacchi proprio sulla preghiera. Si tratta di ostacolarla con tutti i mezzi, seguendo questa strategia: in primo luogo, deve fare in modo che il giovane non abbia la possibilità di pregare, che sia troppo occupato per farlo. Del resto tra le tante cose di cui si occupa, ve ne sono molte assolutamente buone.

Dobbiamo capire che stiamo parlando con Dio, che ha dato suo Figlio per noi, non dovremmo rivolgergli solo continue petizioni, come se si trattasse di qualcuno lontanissimo da noi, la cui indifferenza può essere scossa forza di suppliche! Alcuni chiedono la pace nel mondo, come se a Lui mancasse l’interesse per la pace, quando invece è da millenni che cerca di convincerci attraverso la sua Parola della nostra stupidità nelle controversie tra i popoli.

Proviamo ad analizzare attentamente alcune delle nostre preghiere; ci renderemo conto di crederci a volte migliori di Dio: Signore, abbi compassione dei poveri e dei bisognosi! Non sarebbe meglio dire: Signore, nel pensare ai poveri che mi circondano, aiutani a scoprire che cosa posso fare IO per loro, per riparare a situazione di ingiustizia che tu detesti, e per la quale, in definitiva, anch’lo sono responsabile per mancanza di solidarietà! Non facciamo che la preghiera sia un modo di ricordare a Dio i suoi doveri. Non dimentichiamo mai di ricordare al Signore che deve avere pazienza con noi e di insegnarci a pregare. Romani 8:26-27, e che abbiamo bisogno del suo Spirito che ci aluti a correggere le nostre preghiere.

In fondo pregare è saper ascoltare più che parlare. Non è chiedere è ricevere. Non è chiamare Dio, ma essere chiamati da Lui.

NON CESSATE MAI DI PREGARE

Davanti al suo apparente silenzio, la sola attitudine che conta è quella di NON CESSARE MAI DI PREGARE. Non dobbiamo mai smettere di comunicare con Dio. Le Scritture ci esortano “a pregare senza stancarsi.” (Luca 11:5-7; 18:1,21-36; Romani 12:12; Efesini 6:18; Iº Tessalonicesi 5:17) Pregare senza stancarsi non significa che Dio cede solamente alla fine di una lunga insistente orazione, ma che possiamo sentire la sua presenza in qualunque circostanza: lavando i piatti, guidando un’auto, lavorando, studiando. Pregare senza stancarsi significa, precisamente, essere sempre pronti al dialogo, disposti a ascoltare Dio e disponibili al suo servizo. Pertanto, se pregare è avvicinarsi a Dio e aprirsi a Lui, gli incontri più ricchi di benefici saranno quelli che ci vedranno soli on Dio. Momenti unici riservati solo a Lui.

Qualcuno potrebbe obbiettare non senza ironia: Se Dio sa tutto a che serve pregare? Abbiamo visto che pregare è condividere più che informare, portare le nostre necessità fino alla Fonte di tutte le soluzioni. Innestare la nostra vita all’Origine di tutta l’esistenza. Riferire le nostre conoscenze alla Fonte della sapienza. Purificare il nostro amore umano, sempre condizionato ed egoista, ne crogiuolo dell’incondizionato e generoso amore divino. Uno scambio bilaterale è necessario anche nella preghiera di confessione. In questo caso non è Dio ha necessitare della nostra confessione, ne siamo noi che dobbiamo prenderne coscienza per liberarci. La confessione è indispensabile alla nostra crescita spirituale. Non solo per il perdono e la pace che ne derivano, ma soprattutto perché si tratta di un’occasione importante di auto valutazione. Aprendoci sinceramente con Dio, riflettendo alla luce della sua volontà, vediamo più chiaramente la nostra situazione. A quel punto Egli può esercitare tutta la Sua influenza su di noi aiutandoci a superare i nostri problemi.

Alda Bruno



L’Amore Il Vero Segno Della Distinzione

LE CARATTERISTICHE CHE contraddistinguono un cristiano in primo luogo, sono quelle dell’amore e del perdono. Senza tali qualità impossibile essere accetti al Signore. La Parola è piena di insegnamenti e illustrazioni per condurre i passi di ogni consacrato a sviluppare tali doni. Il primo esempio viene dal nostro Creatore Geova l’lddio Onnipotente, che per primo volse lo squardo verso l’umanità morente tendendo la mano a tutti i suoi figli, mandando per questo l’Unigenito suo Figliolo a morire di una morte ignominiosa per poterli riscattare dalla condizione di morte a cui aveva condotto la prima ribellione edenica. Poche volte ci soffermiamo a riflettere su questo immenso atto d’amore che gratuitamente in richiesta di niente viene offerto a tutti i suoi figli di beneficiare di questo riscatto dal peccato sia che noi fossimo buoni, o malvagi, se credessimo in Lui o no. Ecco da chi nostro Signore Gesù prese esempio! Un figlio per natura tende ad imitare il proprio padre, ed anche Gesù non fu da meno.—Efesini 5:1

Questa condotta portò Gesù ad essere in grado di perdonare coloro che gli arrecarono grande biasimo ed infine la morte come leggiamo nel Vangelo di. (Luca 23:34) Non esiste atto di amore più grande di quello che perdonare i propri carnefici. Da allora in poi la Storia del Cristianesimo (quella con la esse maiuscola) è stata piena di fulgidi esempi non solo di fede ma esempi di perdono e di grande amore. Quanti uomini e donne durante tutta l’età del Vangelo, sono stati pronti a sacrificare il proprio orgoglio per ammettere i propri errori; ed in questo modo hanno guadagnato i loro fratelli che magari si erano allontanati a motivo di errate condotte o di cattivi esempi di taluni! E’ molto importante che tutti noi impariamo a perdonare i torti o i soprusi che talvolta siamo costretti a subire. Sarebbe saggio riflettere su come anche noi magari involontariamente siamo oggetto di dolore o di rammarico per gli altri. Nessun uomo su questa terra è esente dall’errore o dal peccato per cui la legge aurea dell’amore e del perdono dovrebbe essere la guida cardine della nostra vita di Cristiani.

Quante volte perdonerò il mio fratello? Marco 11:25-26, ci dà la risposta. Non ci sono limiti al perdono, poiché noi saremo sempre in debito con Dio, se vogliamo ricevere la sua misericordia dobbiamo mostrarla.

Un magnifico esempio di amore e perdono lo troviamo nella parabola del creditore spietato; il Regno dei cieli è paragonato ad un Re, che volle fare i conti con i suoi servi. Avendo iniziato a fare i conti gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti, (46.872.000) di vecchie lire. Non avendo questi, di che pagare, il suo padrone comandò che fosse venduto lui, sua moglie i suoi figli e tutto quello che aveva, perché il debito fosse saidato. Allora quel servo, gettandosi a terra, gli si prostrò davanti dicendo: “Signore abbi pazienza con me, e ti pagherò tutto.” Mosso a compassione, il padrone di quei servo lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ora quel servo; uscito fuori incontrò uno dei suoi conservi, che gli doveva cento denari (una cifra irrisoria) e afferratolo per la gola lo soffocava dicendo: “Pagami ciò che mi devi.” Allora il suo conservo, gettandosi ai suoi piedi lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto!

Ma costui non volle, anzi andò e lo fece imprigionare, finchè non avesse pagato il debito. Ora gli altri servi, visto quanto era accaduto, ne furono grandemente rattristati e andarono a riferire al loro padrone tutto ciò che era accaduto. Allora il suo padrone lo chiamò a se e gli disse: “Servo malvagio io ti ho condonato tutto quel debito perché mi hai supplicato: Non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te? E il suo padrone, adiratosi, lo consegnò agli aguzzini finchè non gli avesse pagato tutto quanto gli doveva. Cosi anche il Padre celeste farà pure a voi, se ciascuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello i suoi falli.” CHE BELLISSIMO INSEGNAMENTO!

Ci siamo noi messi nella condizione di essere con il dito puntato verso il nostro fratello cercando la pagliuzza nel suo occhio non accorgendoci di avere nella nostra vista una grossa trave? Quant’è più edificante cercare nel nostro prossimo i pregi le qualità i buoni sentimenti che ciascuno di noi possiede in maniera più o meno diversificata! Impariamo ad avere un atteggiamento positivo verso tutti, questo si rifletterà positivamente su di voi. Infatti chi ricerca una persona scontrosa, una persona permalosa, una persona che ha sempre da ridire, che non gli va mai bene niente e che pensa sempre di essere nel giusto? Nessuno ricerca la compagnia di tale persona, direte voi; ebbene esaminiamoci attentamente e chiediamoci: rispondo con milezza anche a domande che mi disturbano? So affrontare qualsiasi problema della vita con tranquillità; confidando nell’aiuto effettivo del nostro Padre Celeste? Gli altri si rivolgono a me nei loro momenti difficili per trovare conforto e riesco con le mie parole o comportamento ad essergli d’aiuto effettivo? Sarebbe bello se ognuno di noi potesse rispondere affermativamente a queste domande; e se, così non fosse iniziare a lavorare su noi stessi per poter modificare il nostro carattere la nostra personalità, e modellarci a somiglianza del nostro Maestro.

Se poi avessimo subito un gravissimo torto od un grande affronto dovremo tenere presente le parole di nostro Signore “che c’è più felicità nel dare che nel ricevere” siate sempre pronti a perdonare dimostrando così di essere Figli del Padre Vostro, non portando rancore a nessuno su questa terra, divenendo operatori di pace e non di divisione divenendo ‘beati’ operatori di pace. (Matteo 5:8) Forse anche noi, come quel discepolo di Gesù abbiamo bisogno che il Signore ci insegni a pregare. Chiediamoglielo.

Alda Bruno


CONTINUAZIONE DELL’ARTICOLO
—Gennaio-Febbbraio

Il Timore Dell’eterno

NEL CREARE L’UOMO, Iddio lo munì della facoltà del ragionamento e di uno sviluppo mentale progressivo, nella certezza che queste caratteristiche avrebbero cooperato al propria bene e alla Sua gloria. E’ lecito, pertanto, affermare che, avendo Iddio creato l’uomo, ed avendogli fatto dono dell’intelligenza progressiva, in tutti i tempi, gli ha fornito i mezzi ed i modi per conseguire tale progressoo intellettuale. Così, quando giunse il tempo di restituirgli i suoi favori, il Creatore gli mandò Mosè e gli diede la legge. Intervenendo in suo favore numerosissime volte, con manifestazione di prodigi e di potenza, ragionevolmente lo condusse a concludere che non v’era altro Dio se non l’Iddio d’Israele. E, affinchè il tempo e le imperfezioni umane non affievolissero o cancellassero in Israele l’amore e la fede verso il suo Dio, nè il ricordo di un passato, ricco non solo di oppressione e di sacrificio, ma di lotte e di conquiste, di libertà e di gloria, di giustizia e di diritto, l’Eterno gl’impose di vegliare diligentemente, affinchè non dimenticasse le cose che i suoi occhi avevano veduto e non gli uscissero dal suo cuore: “…Te li legherai alla mano come un segnale, ti saranno come frontali tra gli occhi, e li scriverai sugli stipiti della tua casa e sulle tue porte.”—Deuteronomio 4:9; 6:8-9

Questo inestimabile patrimonio formò la base per la speranza futura d’Israele e, al tempo stabilito, per quella di tutta l’umanità. E’ vero che Israele no si mantenne sempre fedele ai termini del Patto, ma le parole scritte da Mosè e, successivamente, dai Profeti, rimasero immutabili e la loro veridicità fu riconfermata dal nostro Signore Gesù, nel momento più sublime della sua vita terrena, poichè ore prima della sua morte, mentre pregava il Padre, dicendo: “santificati nella tua verità; la tua parola è verità.” (Giovanni 17:17) L’espressione: ‘la tua parola è verità’ si riferisce ai libri del Vecchio Testamento, in quanto il Nuovo, a quel tempo, non era stato ancora scritto e questa autorevole testimonianza con ferma che quei Libri formano ancora la base su cui i fedeli seguaci di Gesù possono essere oggi santificati. A costoro, come all’antico popolo, è dato l’ordine di raccontare ed insegnare la Parola della Verità ‘ai loro figliuoli ed ai figliuoli dei loro figliuoli’ e di essere suoi testimoni per tutta la terra.—Efesi 6:4; Fatti 1:8



VITA E DOTTRINA IN CRISTO

La Risurrezione Di Gesù

“Perchè cercate il vivente fra i morti? Egli è risuscitato.”
—Luca 24:5,6

SE CONSIDERIAMO la saggezza e la prudenza nei metodi che nostro Signore manifestò sempre in presenza dei suoi discepoli, prima e dopo la resurrezione, comprenderemo agevolmente che la stessa saggezza viene impiegata attualmente nella sua rivelazione ai suoi ed al mondo. Questi metodi non sono necessariamente simili, ma in ogni caso rispondon molto bene allo scopo che non è quello di allarmare e di eccitare gli uomini, ma di convincerli, con una persuasione calma e ragionata, delle grandi verità che Egli vuol far comprendere.

Il primo avvenimento dì nostro Signore non generò negli uomini spavento, allarme o eccitazione. Considerate com’Egli venne tranquillamente, modestamente, senza imporsi, tanto che solo coloro che avevano fede ed umiltà furono capaci di riconoscere nel fanciullo di umile nascita, nell’uomo di dolori, nell’amico degli umili e dei poveri e, finalmente, nel crocifisso, colui che per lungo tempo era stato atteso come il Messia.

Vero è che la manifestazione della presenza di Gesù, dopo la resurrezione, costituì, conformemente alla natura della cose, un evento straordinario, soprattutto se si considera il fatto della sua trasformazione. Ma era necessario che la realtà della resurrezione e del conseguente cambiamento di natura, fossero prima pienamente dimostrati non a tutti, ma ad uomini scelti i quali, a loro volta, avrebbero resa una testimonianza autorevole dell’avvenimento di cui furono spettatori. Se ciò non fosse stato, la testimonianza pervenuta fino ai giorni nostri non sarebbe degna di fiducia, per le innumerevoli mistificazioni e confusioni apportate dalle idee ed interpretazioni umane. Ecco perché Iddio affidò tale testimonianza a persone scelte e fedeli. Leggendo il racconto della resurrezione e trasformazione di Cristo, si rivela appunto che l’avvenimento fu perfettamente atteso e la prova, a suo tempo concessa, fu chiara e convincente.

LA TOMBA VUOTA

La notizia della scomparsa del corpo di Gesù dalla tomba, fu primieramente recata dalle donne: Maria Di Magdala, Maria madre di Giacomo, Salomè ed altre ancora (Marco 16:1; Luca 24:10) le quali si erano recate di buon mattino al sepolcro per imbalsamare il corpo con aromi e profumi. E mentre, attonite, si domandavo chi avesse mai rotolata la pietra all’entrata al sepolcro, si verificò un terremoto ed un angelo del Signore apparve, dicendo: “Non temete, perchè io so che cercate Gesù, il quale è stato crocifisso. Egli non è più qui ma è risuscitato, come egli stesso aveva detto; venite, vedete il luogo dove il Signore giaceva, e andate prestamente e dite ai suoi discepoli eh’Egli è risuscitato dai morti. Ed ecco, egli va innanzi a voi in Galilea; quivi lo vedrete.”—Matteo 28:5-7

Sembra che Maria di Magdala lasciasse le sue compagne e corresse a rapportare l’avvenimento a Pietro e Giovanni. (Giovanni 20:1-2) Le altre donne, invece corsero ad avvertire gli altri apostoli e, mentre erano nel cammino. Gesù si presentò a loro e disse: “Salute.” “Ed esse, accostatesi, gli presero i piedi e l’adorarono. Allora Gesù disse: Non temete; andate, rapportate al miei fratelli che vadano in Galilea e che quivi mi vedranno.”—Matteo 28:9-10

Subito, con timore misto a gioia, corsero ad informare gli alti discepoli ma, emozionate com’erano, furono appena ingrado di annunziare la loro straordinaria e meravigliosa avventura.

Quando Maria incontrò Pietro e Giovanni, disse con tristezza: “Hanno tolto dal monumento il Signore e noi non sappiamo dove l’abbian posto.” (Giovanni 20:2) Le altre donne raccontarono, invece, la visione dell’angelo che annunziò la resurrezione di Gesù (Luca 24:22-23) e l’incontro che ebbero per via con il Signore stesso.—Matteo 28:8-10

Evidentemente la maggioranza dei discepoli considerò il racconto delle donne come il parto di un’eccitazione superstiziosa, ma anche Pietro e Giovanni, giunti al sepolero, constatarono la scomparsa del corpo di Gesù e se ne ritornarono costernati. Maria, invece, si fermò ancora in quel luogo piangendo. “E mentre piangeva, si chinò dentro il monumento e vide due angeli, vestiti di bianco, i quali… le dissero; donna perchè piangi? Ed ella rispose: perchè hanno totto il mio Signore ed io non so ove l’abbian posto.” E detto questo si rivolse indietro e vide, senza riconoscerlo, Gesù che le chiese: “donna perchè piangi? Chi cerchi? Ella, pensando che fosse l’ortolano, gli disse: Signore, se tu l’hai portato via dimmi dove l’hai posto ed io lo torrò.” Allora, con un tono affettuoso, a lei familiare, il Signore la chiamò: ‘Maria!’ Questa semplice parola fu sufficiente perchè lo angelico annunzio della risurrezione uscisse dalla nebbia del sogno, com’ella credeva, per divenire una splendente realtà e, in preda alla gioia, esclamò: ‘Maestro!’ Suo primo impulio fu di abbracciarlo e rimanere vicino a lui, ma venne respinta dolcemente. Infatti Gesù disse: ‘Non toccarmi (dal greco Kaptomai che significa abbracciare) perchè io non sono ancora salito al Padre mio, ma va dai miei fratelli e di loro ch’io salgo al Padre mio ed al Padre, vosto, all’Iddio mio ed all’Iddio vostro.’ (Giovanni 20:17) Maria di Magdala, da quel momento, aveva una missione molto importante di compiere: portare senza posa la testimonianza della risurrezione di Gesù ai discpoli, i quali vivevano ancora nella costernazione e nell’incertezza, al fine di rafforzare la loro fede. Anche le altre donne erano state inviate con la stessa ambasciata.

SULLA VIA D’EMMAUS

Il giorno seguente Gesù si unì a due discepoli i quali, tristi ed addolorati, si dirigevano da Gerusalemme verso Emmaus. Interrogati sulla cagione di tanta tristezza, uno di loro rispose: “Tu solo, dimorando in Gerusalemme, non sai le cose che in essa sono avvenute in questi giorni’? ‘Quali’? ‘Il fatto di Gesù Nazareno, il quale era un uomo profete, potente in opere ed in parole, davanti a Dio e davanti a tutto il popolo e, come i principali sacerdoti ed i nostri magistrati, l’hanno dato ad essere crocifisso. Ora, noi sperevamo che fosse colui che avesse a riscattare Israele; ma ancora, oltre a tutti ciò, benchè sieno tre giorni che queste cose sono avvenute, certe donne d’infra noi ci hanno fatto stupire, perchè essendo andate la mattina di buon’ora al sepolcro e non avendo trovato il suo copo, sono tornate dicendo di avere veduto una visione di angeli, i quali dicono ch’Egli vive. Ed alcuni dei nostri sono andati al sepolcro ed hanno trovato cosi come le donne avevan detto, ma non hanno veduto Gesù.”—Luca 24:18-25

Niente di strano se i due discepoli mostrarono il loro turbamento; tutto sembrava così inverosimile, dopo gli avvenimenti ingolari ed impressionanti dei giorni scorsi.

Allora, con convincenti parole, lo straniero—ossia Gesù—dimostrò loro il compimento delle profezie riguardanti il Messia, il quale, prima di stabilire il regno, benedire ed innalzare Israele ed il mondo, avrebbe dovuto riscattare, a prezzo del proprio sangue, tutti gli uomini dalla maledizione della morte adamica e, dopo la sua risurrezione ed elevazione alla gloria di Geova, compiere tutto quanto era stato predetto dai profeti.

Come furono al villaggio, i due discepoli, essendo sopraggiunta la sera, pregarono lo straniero di dimorare con loro, e quello accettò.

Mentr’erano a tavola per la cena. Gesù prese il pane, lo benedisse, lo ruppe e lo distribui. Allora i loro occhi furono finalmente aperti, ma egli disparve.

Essi dunque riconobbero Gesù non per una identificazione fisica, ma dal suo modo abituale di benedire e rompere il pane.

In quella stessa ora, sorpresi e felici, tornarono prestamente a Gerusalemme domandandosi l’un l’altro: “Non ardeva il cuor nostro in noi mentre Egli ci parlava per la via e ci apriva le Scritture?” Trovarono raduno con loro i quali si rallegrarono uguamente, dicendo: ‘Il Signore è veramente risuscitato ed è apparso a Simone.’ A costoro i due narrarono gli avvenimenti di Emmaus ed il modo come riconobbero Gesù,

Probabilmente quasi tutti erano riuniti quella sera dimentichi della casa e di ogni altra occupazione; Maria di Magdala, versando lacrime di gioia, diceva: “Io l’ho riconosciuto al momento in cui m’ha chiamata per nome; prima non potetti credere alle assicurazioni degli angeli;” poi le altre donne a loro volta narrarono altresì la loro meravigliosa esperienza della mattina. Anche Simone aveva qualcosa da raccontare e lo stesso i due testimoni provenienti da Emmaus. Quale giornata densa di avvenimenti! Non è dunque strano se i loro cuori ardevano dal desiderio di ritrovarsi il primo giorno della settimane per discutere di queste cose, collegare insieme tutte le circostanze e porle in rapporto col prodigioso avvenimento della resurrezione del Signore.

“PACE A VOI!”

Mentre i discepoli si rallegravano insieme, raccontando si le reciproche e diferenti esperienze, il Signore aparve improvvisamente in mezzo a loro (Luca 24:36-49) e disse: “Pace a voi!” Per dove era Egli entrato, se tutte le porte della casa erano chiuse, per tema dei Giudei? (Giovanni 20:19-26) Gesù apparve all’improvviso, senza che nessun sintomo rivelasse il suo approssimarsi, ragione per cui i discepoli furono spaventati al punto di credere di avere a che fare con uno spirito. Ma Egli li assicurò e li esortò a calmare i loro timori; poi mostrò le sue mani, il suo costato, dicendo: ‘Vedete le mie mani ed i miei piedi; perchè lo son desso; toccatemi e vedete poichè uno spirito non ha carne, nè ossa come ne ho io.’ (Luca 24:36-39) E poichè essi non credevano ancora, tanto grande era il loro stupore, e la loro gioia, il Signore prosegui: ‘Avete voi qui alcuna cosa da mangiare?’ Gli porsero, infatti, del pesce arrostito che Egli mongiò in presenza di tutti. Gesù, quindi, apri gli occhi della loro mente ed il loro spirito, spiegando le Scritture e mostrando mediante l’esame della legge e dei profeti, che tutte le cose avevano trovato adempimento, così, com’erano state predette. Tommaso, uno dei dodici, era assente (Giovanni 20:25) e quando gli altri discepoli lo informarono di aver veduto il Signore, egli rimase in dubbio e dissé: ‘Se io non vedo nelle sue mani il segnale dei chiodi e se non metto ivi il mio dito e la mia mano nel suo costato, io non lo crederò.’

Otto giorni trascorsero senza che si manifestasse nulla di nuovo. Essendosi i discepoli nuovamente riuniti, Gesù si ripresentò in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!” (Giovanni 20:26) Questa volta, Tommaso era presente ed il Maestro si rivolse proprio a lui e gli disse: ‘Porgi quà il dito e vedi le mie mani; porgi anche la mano e mettila nel mio costato e non sii incredulo, anzi credente.’ Gesù aveva ascoltato le parole pronunciate da Toma e mostrò a qust’ultimo la prova della sua risurrezione affinchè potesse credere. L’apostolo, infatti, credette perchè esclamò con gioia: ‘mio Signore, mio Dio.’

Trascorsero alcuni giorni, prima che una nuova manifestazione della presenza del Signore avesse luogo ed i discepoli, che erano Galilei, cominciarono a pensare alle loro case ed al loro avvenire, ricordando comunque l’avvertimento del Signore, loro indirizzato per mezzo della donne, cioè che Egli li avrebbe preceduti in quella regione. Probabilmente, quando il Signore si manifestò ai discepoli su di un monte, secondo quanto riferisce Matteo, essi erano già in cammino dalla Giudea verso la Galilea. Erano perplessi ed in quell’occasione non manifestarono verso il Maestro quella familiarità di altri tempi. Egli sembrava molto trasformato agli occhi loro, dopo la crocifissione appariva e spariva simultaneamente e non aveva più alcuna somiglianza col “Cristo Gesù uomo.” Perciò Matteo scrisse: ‘E vedutolo l’adorarono; ma alcuni dubitarono.’ (Matteo 28:17) Dopo alcune parole seambiate con i discepoli Gesù disparve e li lasciò attoniti ed inconsapevoli di ciò che avrebbe dovuto accadere.

“GETTATE LE RETI”

Durante il primo periodo della loro permanenza in Galilea, non ebbe luogo nessun avvenimento particolalre, nessuna nuova indicazione sulla presenza del Signore. Senza dubbio essi si riunivano insieme per discutere la situazione e si stupivano per le non più frequenti apparizioni. Inoltre i giorni e le settimane trascorrevano lentamente, ed avendo essi tralasciato da molto tempo qualsiasi lavoro materiale, per seguire Gesù di luogo in luogo, per essere da lui istruiti e predicare ad altri lo approssimarsi del regno dei cieli, molto a malincuore sentivano di riprendere le loro antiche occupazioni. D’altra parte che cosa avrebbero dovuto o potuto fare? Come avrebbero potuto continuare d diffoindere lostesso messaggio del regno, se il loro Re e Maestro era stato crocifisso e nessun altro conosceva la sua resurrezione. Questo stato d’incertezza e di ansia determinò in uno degli undici apostoli, e Pietro, la risoluzione di riprendere l’antica attività di pescatori; gli altri sei gli dissero: “anche noi veniamo teco.” (Giov. 21:3) E probabile che anche gli altri discepoli tornarono alle loro abituali occupazioni. Chi poteva dubitare che il Signore, quantunque invisibile, non li avesse assistiti in ogni attività, governando e dirigendo il corso delle circostanze, per il loro bene superiore? Tuttavia, un buon successo ne l’attività della pesca, avrebbe compromesso o danneggiata la loro partecipazione ad una forma di attività superiore, mentre un insuccesso avrebbe assunto l’aspetto di una costrizione – imposta dal volere divino. Così il Signore impartì loro una lezione, ossia che a Lui solo apparteneva il diritto di guidarli in una qualsiese direzione, secondo il beneplacido della Sua volontà.

Gi apostoli, dunque, ripresero il loro vecchio lavoro ed uscirono per affettuare la prima pecsa. Lavorarono tutta la notte, senza prendere nulla, ed un certo scoragiamento si impossessò di loro. Al mattino uno straniero si avvicinò sulla riva e chiese l’esito del lavoro. La risposta fù negativa. Provate a gettare le reti dalla parte opposta della barca, propose lo sconosciuto. ‘E inutile, caro amico replicarono; abbiamo provato l’intera notte da entrambi i lati senza nessun esito. Tuttavia tentarono ancora una volta.’ Infatti cosi fecero e la pesca fu abbondantissima. ‘E’curioso tutto ciò,’ pensò qualcuno; ed e impressionabile Giovanni, fu illuminato istantaneamente e disse ai fratelli: ‘Egli è il Signore; lui solo avrebbe potuto far ciò, non ricordate come provvide a sfamare la folla? Può darsi che ora egli abbia scelto un altro mezzo per manifestarsi a noi. Non ricordate che fece la stessa cosa quando lo vedemmo la prima volta e ci chiamò a sè? Anche in quella occasione lavorammo tutta la notte invano, finchè si presentò e ci disse: ‘calate le vostre reti.’ (Luca 5:4-11) Si, certo, egli è il Signore, benchè dopo la sua risurrezione non lo abbiamo potuto più riconoscere direttamente, quale, egli è.

Egli ci è apparso il altre occasioni e lo abbiamo riconosciuto solo in circostanze particolari simili a questa, la quale ci ricorda pure un particolare della nostra vita trascorsa con Lui.

A riva trovarono Gesù provisto di pane e di pesce. Capirono in tal modo che, solo sotto la sua direzione, le sue cure, il suo servizio non avrebbero sofferto alcuna privazione.(Luca 12:29,30) Non gli domandarono nulla in questa occasione, così come nelle altre, ma i loro occhi furono aperti e lo riconobbero, non dall’aspetto fisico, ma per il miracolo compiuto.

In quell’ora deliziosa che segui, i discepoli furono di nuovo ai piedi del Maestro.

Il Signore tranquillizzò Pietro, rassicurandolo di amarlo ancora e sempre, perchè, se era stato da lui rinnegato, aveva anche visto il suo pianto ed il suo pentimento. L’apostolo percepì di nuovo l’amore del suo Maestro ed il privilegio ricevuto di pascere i sui agnelli, le sue pecore. Ci sembra di ascoltare la voce di Gesù, dire all’apostolo: “Tu non hai bisogno di riprendere la tua attività di pescatore, io ti ho chiamato per fare di te un pescatore di uomini, e siccome so che il tuo cuore è ripieno di lealtà e di zelo, io ti riconfermo nella missione.”

(Continua Nel Prossimo Numero)



Associazione Studenti Biblici Aurora