AURORA
Marzo-Aprile 2005


La Pasqua Della Nuova Creazione

“Poiché anche la nostra Pasqua, cioè Cristo è stata immolate, celebriamo, dunque, la festa, non con vecchio lievito, né con lievito di malizia e di malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità.”
—I Cor. 5:7,8

LA PASQUA FU UNA DELLE solennità più ragguardevoli presso l’Israele tipico. Tale festa era celebrata ogni anno, durante sette giorni, iniziandola il quindicesimo giorno del primo mese. In un modo generale, essa ricordava la liberazione del popolo d’Israele dalla schiavitù d’Egitto, ma, sopratutto, rammemorava il passaggic dell’angelo che preservò i primogeniti di questa nazione, durante il corso dell’inflizione dell’ultima piaga che piombò sugli Egiziani, la quale, oltre ad essere mortale per essi, li costrinse a liberare gl’Israeliti dall’eccessivo servaggio in cui li avevano assoggettati. Il passaggio sopra i primogeniti d’Israele precedette la liberazione di tutti gl’Israeliti che divenne completa per la felice traversata del Mar Rosso. Noi comprendiamo perfettamente che un avvenimento di tale importanza, così strettamente collegato con la nascita della loro nazione, doveva essere commemorato dagl’Israeliti e continuato ad essere celebrato dagli Ebrei fino a eggidì. I membri della “Nuova Creazione” s’interessano a questo avvenimento, come del resto a tutte le disposizioni del Padre celeste, anche in ciò che concerne il Suo popolo tipico, l’Israele secondo la carne, come per quanto si riferisce all’intera umanità. La “Nuova Creazione ha un interesse altrettanto più grande per questi eventi che si svolsero in Egitto, in quanto il Signore ha rivelato loro il “mistero” e cioè che gli eventi che toccarono l’Israele naturale dovevano tipificare, o prefigurare, eventi ancora più grandi, nel Piano divino, circa l’Israele antitipico—la Nuova Creazione.

L’Apostolo, nel parlare di queste cose spirituali, che l’uomo naturale non riceve né può conoscere, poiché non possono essere individuate che spiritualmente; dice che Dio le ha rivelato (alla Nuova Creazione) per mezzo del Suo Spirito. (I Cor. 2:14,10) Iddio, a mezzo dello Spirito, s’è servitor degli Apostoli come porta—voci per darci taluni indirizzi, per i quali ci fu permesso di comprendere le cose profonde di Dio. Uno di questi direttive lo rinveniamo nelle parole espresse dall’Apostolo all’inizio del capitolo. Noi discerniamo chiaramente, seguendo le sue indicazioni, che l’Israele secondo la carne era il tipo di tutto il popoli di Dio, cioè di tutti coloro che, più tardi, diverranno il Suo popolo, fino alla chiusura dell’èra Millenaria. Gli Egiziani rappresentavano coloro che si opponevano al popolo di Dio: Faraone loro re, Satana, il principe del male e delle tenebre, i servitori di Faraone ed i cavalieri, gli angeli decaduti e quegli uomini che s’associavano a Satana per opporsi al Signore ed al Suo popolo, ai credenti consacrati ed a tutti coloro della famiglia della fede, in generale. Gl’Israeliti sospiravano dopo la liberazione e gemevano sotto i loro esattori, ma erano deboli ed incapaci di liberarsi da se stessi, né si sarebbero giammai liberati dal gioco dell’Egitto, se l’Eterno non fosse intervenuto in lor favore stabilendo d’inviare Mosè, affinchè divenisse il loro liberatore. Anche oggi, come nel passato, l’umanità gemente e sospirante sotto le vessazioni del “principe di questo mondo” e dei suoi favoriti, il peccato e la morte, è impotente a liberarsene. Le centinaia di milioni d’esseri umani languenti per la bramosia di liberarsi dal peccato e dalle loro debolezze, anche dopo la liberazione della punizione che costò loro la sofferenza e la morte, non vi perverranno senza l’aiuto di Dio. Certuni mediante enormi sforzi ottengono qualche lieve miglioramento delle loro condizioni, ma niuno si libera. L’intera razza di Adamo è sottosposta alla schiavitù del peccato e della morte e la sua sola speranza risiede in Dio e nel Mosè antitipico, il quale, secondo la promessa, libererà il suo popolo, al tempo stabilito, facendolo attraversare il Mar Rosso— simbolo, della seconda morte, nella quale Satana ed i suoi affiliati, o coloro che simpatizzano con lui, saran distrutti per sempre, come lo tipifica Faraone e la sua armata nel mar Rosso. Ma il popolo dell’Eterno “non subiranno alcun danno dalla morte seconda.”—Apoc. 2:11

Quanto precedentemente esposto è un punto di vista generale, ma, accosto ad esso e facendone parte, v’è un tratto tutto particolare che non concerne l’umanità in generale, né la sua liberazione dalla schiavitù del peccato e della morte, ma una classe speciale, i primogeniti “la Chiesa dei primogenti,” inscritta nei cieli la Nuova Creazione. Nel tipo, i primogeniti occupavano una posizione speciale: erano gli eredi e per tal ragione, dovevano subire una prova speciale avanti i loro fratelli. Essi furono esposti alla morte, prima dell’esodo generale ed allorché l’esodo terminò, questi primogeniti ottennero un posto speciale—essi dovettero compiere un’opera speciale, in riferimento alla liberazione generale, poiché divennero una classe messa a parte, rappresentata dalla tribù di Levi. Furono separati dai loro fratelli, abbandonando interamente la loro parte d’eredità nel paese, affinché, secondo le disposizioni divine, avessero potuto essere gli educatori dei loro fratelli.

Questa tribù, o casa di Levi, rappresenta chiaramente la famiglia della fede, che a sua volta è rappresentata dal Sacerdozio regale in preparazione, il quale abbandona l’eredità delle cose terrene e che costituerà, in seguito, il Sacerdozio regale effettivo, di cui il Signore è il Supremo Sacerdote, e dovrà svolgere la grande opera di benedire, governare ed istruire il mondo, durante l’èra Millenaria. Come i primogenti d’Israele, in Egitto, furono sottoposti alla morte, ma risparmiati dall’angelo distruttore, ed avendo perduto l’eredità terrene divennero un Sacerdozio, così, la Chiesa antitipica dei primogeniti, nel tempo presente, è soggetta ora alla seconda morte (dovendo subire la sua prova, o giudizio, per la vita o la morte eterna, prima del resto dell’umanità) ed essa passa dalla morte alla vita per i meriti del sangue del Redentore—per la Sua morte.

Divenendo partecipi della grazia del loro Signore, essi rinunziano con Lui all’eredità terrene, alla porzione terrena, alla vita terrena, o la sacrificano, al fine di potersi guadagnare il cielo con la sua “vita sovrabbondante.” (Giov. 10:10) Nella Chiesa dei primogeniti, tutti muoiono come gli uomini (Salmo 82:7) e, in ciò che concerne le cose terrene, sembra che essi abbandonino in misura superiore a quella degli altri, ma—per quanto l’uomo naturale non lo comprenda—essi sono salvati dalla morte e, in quanto Sacerdoti regali, col loro Sommo Sacerdote, Gesù, saranno partecipi della gloria, dell’onore e dell’immortalità. Coloro che sono così risparmiati, durante la notte di questa èra Evangelica, fino all’aurora del mattino millenario ed al levarsi del sole della giustizia—saranno i conduttori delle armate dell’Eterno che si occuperanno di liberare il suo popolo dalla schiavitù del peccato e della morte. Rilevate come ciò concorda con quanto enuncia l’Apostolo in Rom. 8:22, 19: “La creazione intera geme ed è in travaglio”; “poiché con brama intensa aspetta la manifestazione dei figliuoli di Dio.” Essa attende che la Chiesa dei primogeniti sia completamente liberate ed innalzata nella prima risurrezione alla gloria, all’onore ed alla immortalità.

Ecco, ora, un altro tratto importante del tipo. Al fine di effetuare il passaggio al di sopra dei primogeniti e la liberazione che ne conseguì, nel tipo, era necessario che l’angnello pasquale fosse ucciso, che il suo sangue fosse asperse sugli architrave delle porte e la carne sua fosse mangiata la stessa notte, con delle erbe amare e del pane senza lievito. (Esodo 12:9-22) Ogni casa d’Israele rappresentava, così, la famiglia della fede, ogni agnello rappresentava l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo ed il primogenito, in ogni famiglia, rappresentava il Cristo, testa e corpo, la Nuova Creazione. Le erbe amare rappresentavano le prove e le afflizioni del tempo presente, le quali servono ad eccitare l’appetito della famiglia della fede per l’Agnello ed il pane senza lievito. Ogni famiglia doveva mangiare l’agnello col bastone alla mano ed i lombi cinti pronti per viaggiare, il che voleva figurare la condizione di stranieri e di viaggiatori in questo mondo, condizione dei primogenti della famiglia della fede, che durante questa notte dell’età dell’Evangelo, vorranno partecipare a l’Agnello, essendo coscienti della schiavitù del peccato e della morte e desiderando essere condotti dal Signore alla libertà gloriosa dei figliuoli di Dio.

COMMEMORAZIONE DELLA PASQUA DI NOSTRO SIGNORE

In armonia di questo tipo d’immolazione dell’- agnello pasquale, il quattordicesimo giorno del primo mese dell’anno-giudaico-data che precedeva i sette giorni della festa di Pasqua, celebrata dagli Ebrei, nostro Signore morì, come l’agnello antitipico di Pasqua, “l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.” Gesù non poteva finire con la morte, in alcun altro momento, il sacrificio che aveva iniziato all’età di 30 anni, allorché fu battezzato nella morte. Questa verità risalta dalla costatazione che, pur essendosi provati gli Ebrei parecchie volte di catturare Gesù, niun pose mano su lui, “perché la sua ora non era ancora venuta.”—Giov. 7:8,30

Agli Ebrei si raccomandava di scegliere l’agnello che doveva essere immolato, dal decimo giorno del primo mese e di tenerlo nella loro casa a partir da tale data; perciò il Signore si offrì egli stesso agli Ebrei ad una data analoga, allorché sei giorni, avanti la Pasqua entrò nella città sul dorso d’un asino, in mezzo alla moltitudine che gridava: “Osanna al figliuolo di Davide! Benedetto sia colui che viene nel nome del Signore:! È venuto in casa sua ed i suoi (come nazione), non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che lo hanno ricevuto (individualmente), egli ha dato il diritto di diventare figliuoli di Dio.” (Giov. 1:11,12) Per mezzo dei governatori, o i suoi rappresentanti, la nazione, in luogo di riceverlo, lo riggettò e, così fece, in quel momento, causa comune con l’Avversario. Tuttavia, tutti gli appartenenti alla casa di Giacobbe, che hanno desiderato di porsi in armonia con Dio, beneficiarono della grazia efficace del sangue del Patto e furono resi partecipi dei meriti dell’Agnello. Gli Ebrei che hanno rifiutato di mangiare l’angnello antitipico, come nazione, i primogeniti, il; Sacerdozio regale, la Nazione santa, il popolo particolare di Gesù, il Messia; messi perdettero l’occasione di poter divenire membri della Nuova Creazione, con vita sovrabbondante di gloria, onore ed immortalità. Noi siamo felici di apprendere da altri passaggi delle Scritture, che, purtuttavia, se volgiono, avranno una gloriosa occasione di accettare l’Agnello di Dio, mangiarlo, appropiarsi della Sua carne, usufruire del Suo sacrificio, e sottrarsi, così, dalla schiavitù del peccato e della morte, sotto la condotta del Signore e dei suoi fedeli fratelli, l’Israele spirituale, la Chiesa anticipica dei primogenti.—Rom. 11:11-26

Fu alla chiusura del ministero di nostro Signore, il 14° giorno del primo mese “la notte stessa in cui fu tradito”, e lo stesso giorno, in cui morì come Agnello antitipico, che Egli celebrò, con i suoi discepoli, la Pasqua tipica degli Ebrei—mangiando, con i dodici Apostoli l’Agnello tipico che lui stesso rappresentava, il proprio sacrificio per i peccati del mondo ed il verace cibo per cui solamente si ottiene la vita, la libertà e le benedizioni dei figliuoli di Dio. Fu in rispondenza all’usanza Ebrea, che fa cominciare la giornata dalla sera, e non dalla mezzanotte, che fu possible di consumare la cena che precedette la Sua morte e, contemporaneamente, nello stesso giorno. Iddio aveva, evidentemente, disposto tutte le evenienze d’Israele in conformità dei tipi che dovevano esprimerli.

Nostro Signore ed i suoi Apostoli, essendo Ebrei e, quindi, “nati sotto la Legge” avevano l’obbligo di celebrare questo tipo e, nel proprio tempo. Fu anche, dopo aver osservato l’obbligo di questa Cena, mangiando l’agnello con dei pani senza lievito e delle erbe e, probabilmente con il “frutto della vigna”, che il Signore—prendendo una porzione di pane senza lievito e del frutto della vigna, residuo della Cena Ebrea, il tipo—istituì fra i discepoli e per la chiesa intea che Egli rappresentava, (Giov. 17:20), una cosa nuova che, per essi, l’Israele spirituale, la Chiesa dei primogeniti, doveva prendere posto, o sostituire, la cena della Pasqua degli Ebrei. Nostro Signore non istituì un altro tipo o un tipo più elevato della Pasqua. Al contrario, il tipo, essendo sul punto di divenire compiuto, non aveva più ragione d’essere, per coloro che ne accettavano il compimento. Gesù, l’Agnello antitipico, stava per essere immolato, come l’Apostolo l’esprime: “Cristo, la nostra Pasqua (l’Agnello) è immolato”.

Non c’è niuno che, dopo aver accettato Cristo, come Agnello Pasquale, accettando così l’antitipo, che ha preso il posto del tipo, possa ancora—logicamente— preparare un agnello tipico e mangiarlo, per commemorare la liberazione tipica. Ciò che debono fare tutti coloro che credono in Gesù, come vero Agnello Pasquale, è l’asperzione degli architravi degli scalini della porta del cuore con il sangue suo: “avendo i cuori asperse di quell’aspersione che li purifica dalla mala coscienza [della condanna presente (Ebrei 10:22)—comprendendo che, per il suo sangue, la propiziazione dei loro peccati è fatta e che, per mezzo del suo sangue, essi hanno ora il perdono dei loro peccatti].” Ormai, coloro debbono mangiare ed usufruire i meriti del loro Redentore— i meriti dell’ uomo, Gesù Cristo che ha dato se stesso in riscatto per tutti”. Essi devono partecipare ai suoi meriti per la fede e comprendere che, se i loro peccati furono addebitati al Signore ed Egli morì per essi, i suoi meritì e la sua giustizia le sono accordati: queste cose essi mangiano, o si appropriano per fede.

Se, dunque, la Cena del Signore prese il posto di quella della Pasqua, e non come un tipo più elevato— essendo cominciato l’antitipo—cosa fu essa? Noi rispondiamo che fu una commemorazione dell’- antitipo—un ricordo per i suoi discepoli dell’inizio del compimento della Pasqua antitipica.

Accettare l’Agnello e commemorare la sua morte significa, per noi la speranza o l’attesa della liberazione promessa la popolo di Dio e significa anche che coloro i quali l’apprezzano e fanno questa commemorazione con intelligenza, non sono del mondo, pur stando nel mondo, ma sono degli stranieri e dei viaggiatori, in cerca di qualche cosa di migliore, essendosi liberati dalle sozzure, dalle afflizione e dalla schiavitù del tempo presente, in cui regna il peccato e la morte. Essi partecipano al vero pane senza lievito e cercano averlo nella sua purezza, senza che sia corrotto dal lievito delle teorie, delle contaminazioni, ambizioni ed egoismo umano, onde essere forti nel Signore e nella potenza della sua forza. Essi partecipano anche delle erbe amare di persecuzioni, secondo le parole del Maestro, che il servitore non è più grande del suo Signore, e, se il Signore lui stesso fu ingiuriato, perseguitato e rinnegato, anche loro devono attendersi ad essere trattati alla stessa maniera, perché il mondo non li conosce, come essi non conoscono il mondo. La testimonianza di Gesù, indica che chiunque, a causa della propria fedeltà, non attira lo sfavore del mondo, non gli sarà accettevole, Ecco le sue parole: “Tutti coloro che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati”. “Diranno contro di voi ogni sorta di male per cagione mia. Rallegratevi e giubilate, perché il vostro premio è grande nei cieli.”—Matt. 5:11,12; II Tim. 3:12

Allorché il Signore istituì la Cena commemorativa, nominata l’ultima cena, fu come più avanti abbiamo detto, un nuovo simbolo relativo all’antico tipo pasquale, benchè non fu in nessun modo parte d’essa, essendo piutosto una commemorazione dell’antitipo. Come leggiamo, infatti: “Gesù prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo ruppe e disse: “Prendete, mangiate, questo è il mio corpo il quale per voi è rotto” [esso rappresenta me, l’Agnello antitipico; rappresenta la mia carne] “fate questo in memoria di me.” L’intenzione evidente di nostro Signore era di fissure, nello spirito dei discepoli, che egli è l’Agnello antitipico dei primogeniti antitipici e della famiglia della fede. L’espressione: “fate ciò in memoria di me” fa intendere che questa nuova istituzione, per i discepoli, deve predere il posto della prima che prescritta a causa del suo compimento. “Parimenti, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo”: “Questo calice è il nuovo Patto nel sangue mio.”—il sangue garante del Nuovo Patto. “Fate questo, ogni volta che ne berrete, in memoria di me.” Ciò non vuol dire che dobbiamo farlo senza tener conto del tempo e del luogo, ecc., ma che, a partir da questo momento, allorché questa coppa e questo pane senza lievito saranno adoperati, per celebrare la Pasqua, dovranno sempre essere considerati, come serventi a celebrare l’antitipo e non il tipo. Non sarebbe stato logico, convenevole, o tipico, di celebrare la Pasqua in niun altro momento fuor quello che ha indicato il Signore, come non sarebbe a proposito celebrare l’antitipo in niun altro momento fuor dell’anniversario.—I Cor. 11:23-25

L’Apostolo aggiunge: “Ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore, finché egli venga.” (I Cor. 11:26) Ciò indica che i discepoli comprendevano chiaramente che, da quel momento, per tutti i discepoli del Signore, la celebrazione annuale della Pasqua deve avere un nuovo significato, il pane rotto, rappresentante la sua carne; il calice, il suo sangue. Per quanto questa nuova istituzione non fosse stata imposta come legge né avrebbe comportato alcuna punizione, in casi d’inosservanza, il Signore sapeva bene che coloro i quali spererebbero in Lui e l’apprezzerebbero come l’Agnello pascuale antitipico, sarebbero stati lieti di osservare la commemorazione che Egli ha istituita per loro. Ancora, ai nostri giorni, la fede nel riscatto continua a trovare l’illustrazione, in questo semplice anniversario, dell’evento racchiuso nell’invocazione “sin ch’Egli venga.”

“SICCOME V’È UN UNICO PANE, NOI, CHE SIAMO MOLTI, SIAMO UN CORPO UNICO”

“Il calice della benedizione che noi benedicamo, non è egli la comunione col sangue di Cristo? Il pane che noi rompiamo, non è egli la comunione col Corpo di Cristo? Siccome v’è un unico pane, noi, che siamo molti, siamo un corpo unico, perché partecipiamo tutti a quell’unico pane.”—I Cor. 10:16,17

L’Apostolo, guidato dallo Spirito Santo, pone avanti a noi un altro pensiero concernente questo pasto commemorativa, istituito dal Signore. Egli, oltre a non negare, afferma che, primieramente, il pane rappresenta il corpo rotto di nostro Signore, sacrificato in nostro favore, e che il calice rappresenta il Suo sangue, il quale sigilla il nostro perdono; egli indica ancora che noi—membri della Ecclesia, membri del Corpo di Cristo—diveniamo partecipanti con nostro Signore della Sua morte, del suo sacrificio:” Noi completiamo quel che manca alle afflizioni di Cristo.” (Col. 1:24) Il pensiero quì espresso è uguale a quello di questa locuzione: “siamo battezzati nella Sua morte.” Così, mentre la carne di nostro Signore era il pane rotto per il mondo, i credenti di questa Età dell’Evangelo, i fedeli, gli eletti, la Nuova Creazione, sono stimati tutti come facenti parte dello stesso pane, cioè “membri del Corpo di Cristo.” Nel rompere il pane, dopo averlo riconosciuto come sacrificio di nostro Signore, in nostro favore, abbiamo a riconoscerlo quale sacrificio dell’intera Chiesa, di tutti coloro che si sono consacrati ad essere morti con Lui, ad essere rotti con Lui, a partecipare alle Sue sofferenze.

In ciò consiste il pensiero esatto della “comunione”— comune unione, partecipazione. Ad ogni celebrazione annuale, dunque, non solo noi riconosciamo che il fondamento di tutte le nostre speranze si basa sul sacrificio del nostro diletto Redentore, per i nostri peccati, ma riviviamo e rinnoviamo la nostra consacrazione: “morire con Lui per vivere con Lui,” “se abbiamo costanza nella prova, con Lui altressì regneremo.” (II Tim. 2:11) Qual esteso significato racchiude la celebrazione di questa istituzione divina! Noi non poniamo il simbolo al posto della realtà e non è certamente l’intenzione di nostro Signore, per cui non è nemmeno la nostra. La comunione del cuore alimentata da Lui, la comunione del cuore con gli altri membri del Corpo, nonché il cuore che concepisce il significato del nostro Patto di sacrificio, forma la vera comunione, nella quale se siamo fedeli, ci eserciteremo giorno dopo giorno, durante tutto l’anno, frantumati come il Signore, gioiendo dei suoi meriti, crescendo forte nel Signore e nella forza della Sua possanza. Quanta benedizione ci viene dal celebrare questo anniversario! Come i nostri cuori anelano di apprezzarlo sempre più, di crescere in grazia ed in conoscenza e di partecipar sempre maggiormente ai privilegi del servizio al quale Egli ci ha chiamati, non solo nella vita presente, me anche nella vita futura!

Rileviamo che l’Apostolo cita anche il calice per il quale benediciamo Iddio. Non costituisce esso la comunione [comune—unione, comune—partecipazione] al sangue di Cristo? Quale gradito pensiero, sapere che i veri consacrati, il fedele “piccolo gregge” della Nuova Creazione, attraverso questa Età dell’Evangelo è stato Cristo nella carne, e che le sofferenze, le prove, l’ignominia e la morte di coloro che il Signore ha accettati e riconosciuti come “membri del cuo Corpo” nella carne, son contati come facenti parte del Suo sacrificio, perchè essi sono associati con Lui, che è il nostro Capo, nostro Sommo Sacerdote e tutti sotto la Sua dipendenza! Chi è colui che, comprendendo la situazione ed apprezzando l’invito di Dio a divenire membri di questa Ecclesia ed a partecipare ora al sacrificio, sino alla morte che ne è la conseguenza, non si rallegrerebbe d’essere trovato degno di soffrire l’obbrobrio per il nome di Cristo e di lasciare la sua vita al servizio della verità, come membro della Sua carne e delle Sue ossa? Che cosa può importargli se il mondo non lo conosce perché non ha conosciuto nemmeno Lui? Che cosa può importargli di soffrire la perdita dei vantaggi e dei beni terreni, se, come membro del corpo di Cristo, è trovato degno di partecipare alle glorie future del Redentore?

Man mano che egli cresce in grazia e conoscenza, esso è reso capace di ponderare e giudicare le cose secondo il punto di vista dell’Apostolo, allorché dei vantaggi terreni Egli dice: “Io reputo tutte queste cose come una perdita … come una spazzatura.” Io stimo che le sofferenze del tempo presente non siano da paragonare con la gloria che ha da essere manifestata a nostro riguardo.”—Fil. 3:8; Rom. 8:18

Un altro pensiero è quello che concerne l’amore, la simpatia, l’interesse mutuo che debbono prevalere fra i membri dell’unico corpo di Cristo. A misura che lo Spirito del Signore governa sempre più nei nostri cuori, esso ci conduce a rallegrarci ogni volta che si presenta l’occasione di far del bene a tutti gli uomini e specialmente ai componenti della famiglia della fede. A misura che il nostro amore per il prossimo cresce e si estende all’intera umanità esso aumenta sopratutto nei riguardi del Signore di conseguenza, verso coloro che Egli riconosce, che hanno il Suo Spirito e che cercano di camminar seguendo le Sue orme. L’Apostolo indica che la misura del nostro amore per il Signore, s’individua in quella che dimostriamo verso i nostri fratelli, gli altri membri del Corpo. Se il nostro amore giunge a sopportare ogni cosa da parte d’altri, quanto più sopporterà dalla parte dei membri dello stesso Corpo, così strettamente uniti a noi per mezzo del nostro Capo. Di conseguenza non dobbiamo meravigliarci che l’Apostolo Giovanni abbia dato come una delle prove più probanti, circa il nostro passaggio dalla morte alla vita, l’amore che estrinsechiamo verso i fratelli. (I Gov. 3:14) In effetti, noi ci ricordiamo che nel parlar di riempire la misura delle afflizioni di Cristo, l’Apostolo aggiunge: “per il Suo Corpo, che è la Chiesa.”—Col. 1:24

Lo stesso pensiero è ancora espresso in queste parole: “Noi pure dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli.” (I Giov. 3:16) Quale amor fraterno racchiude questa affermazione! Ove potremmo trovare, per i fratelli, un amor simile a quello di lasciar la vita per essi? Noi non spieghiamo quì come si compiace il Signore di applicare il sacrificio della Chiesa, rappresentato dal “capo dell’Eterno (Lev. 16:8,15-20), che fa parte dei sacrificii dei giorni di propiziazione. Noi notiamo semplicemente il fatto, con l’Apostolo, che in quanto ci concerne, il sacrificio, l’abbandono della nostra, vita, deve essere fatto principalmente per i MARZO/APRILE 2005 17 fratelli—nel servire loro; il servizio per il mondo, appartenente sopratutto all’Età a venire—al Millennio. Sotto le attuali condizioni, noi siamo, più o meno, debitori del nostro tempo, talenti, influenze e mezzi, alla moglie, ai figli, ai genitori in età avanzata, o ad altri che dipendono da noi per la provvisione di quanto occore al loro mantenimento come al nostro: alle “cose necessarie decente ed oneste davanti a tutti gli uomini” ed a noi stessi. (Giac. 2:16; I Cor. 14:40; Rom. 12:17) Perciò, noi ci troviamo ad aver poco rimasto a nostra disposizione e comparativamente: poco da sacrificare, poco a lasciar per i fratelli; ed é questo poco che il mondo, la carne ed il diavolo cercano continuamente di stornar dalla destinazione, cui l’abbiamo consacrato.

La scelta della Chiesa del Signore, durante questo tempo in cui il male prevale, si prefigge di provare la misura dell’amore e della lealtà d’ognuno verso il Signore ed i suoi nelle circostanze in cui s’estrinsecano. Se il nostro amore è freddo, le tentazioni del mondo della carne e dell’avversario avranno molta presa su noi e riusciranno a sottrarci molto del tempo, influenza e mezzi di cui disponiamo. D’altra parte, nella proporzione in cui il nostro amore per il Signore è caldo ed intenso, noi aneliamo a dar il più possibile delle nostre disponibilità. Anzi, oltre a dar il sovrappiù d’influenza, tempo e mezzi, al servizio dei fratelli, allorché ne abbiamo occasione, lo spirito di devozione verso il Signore, c’indurrà ad assottigliare—nei limiti del possibile—l’occorrente ai bisogni della famiglia e di noi stessi al fine di poter offrire dippiù sull’altare del Signore. Durante tre anni e mezzo, nostro Signore diede il Suo sangue e la sua vita, completando il Suo sacrificio sul Calvario. Lo stesso deve avvenire per noi. L’abbandono delle nostre vite per i fratelli consiste nelle piccolo contingenze del servizio, spirituali e temporali, tenedo presente che le spirituali, essendo più alte, devono essere tenute in più alta considerazione. Ma colui che fa tacere il suo impulso di compassione, nei riguardi dei bisogni temporali d’un fratello dà la prova di non avere lo Spirito del Signore che agisce in lui, convenevolmente.

LA COMMEMORAZIONE DELLA PASQUA ANCORA PROPRIA

All-origine, la commemorazione della morte del nostro Redentore (con il più largo significato che vi è collegato dallo Spirito Santo, e gli Apostoli, riguardo alla nostra partecipazione, o comunione, con Lui nel Suo sacrificio), aveva luogo, come abbiamo già detto, ad una data particolare—il 14° giorno del primo mese—secondo il compito del tempo, usato dagli Ebrei (*). La stessa data, calcolata tenendo conto del calendario Ebreo, è quella logica per tutti coloro che ricercano gli “antichi sentieri” (Ger. 6:16) e desiderano incamminarvisi. Questa commemorazione annuale della morte del Signore, tal quale è stata istituita dal Signore ed osservata dalla Chiesa primitiva, è stata ravvivata fra coloro che hanno individuate la luce della “Verità presente.”—II Pietro 1:12

*L’annata degli Ebrei ha inizio alla primavera, alla apparizione della nuova luna subito dopo l’equinozio della primavera. E facile calcolare il 14° giorno, ma non bisogna confonderlo con la settimana della festa che comincia il 15° e dura sin alla fine della settimana di detta festa Ebrea. Questa settimana di pane senza lievito, celebrata dagli Ebrei con allegrezza, può rappresentare un po l’anno che scorre tra una commemorazione ad un’altra. Per gli Ebrei il sacrificio dell’Agnello fu il principio della festa della settimana, nella quale esso rappresentava il motivo principale. La nostra commemorazione si rapporta alla morte dell’Agnello simbolico. Gesù, e a causa di ciò, deve essere celebrata il 14° di Nisan (il primo mese). Ricordiamo anche che la maniera di contare le ore del giorno, essendo cambiate, la notte del 14 Nisan deve corrispondere alla sera del 13.

Non c’è da sorprendersi che, man mano in cui il significato della Cena simbolica del Signore è stato perduto di vista, le peculiarità connesse alla sua osservanza annuale sono state neglette. Ciò diviene altrettanto comprensibile allorché ci è resa nota la storicità della materia che la riguarda.

Dopo che gli Apostoli ed i loro successori immediati si furono addormentati—verso il terzo secolo—il Cattolicesimo Romano cominciò ad acquistare una grande influenza sulla Chiesa. Una delle false dottrine, che questi propugnava, era che, se da una parte la morte di Cristo cancellava i peccati passati, non poteva, però, esservi perdono per le trasgressioni personali del credente, messo in relazione con Cristo, mediante il battesimo, senza che un nuovo sacrificio fosse offerto per tali peccati. Fu su questo errore che fu stabilita la dottrina della Messa, considerata come abbiamo spiegato altrove quale un sacrificio nuovo di Cristo per i peccati particolari dell’individuo per cui la messa è stata offerta o sacrificata. Questo nuovo sacrificio di Cristo aveva un’apparenza ragionevole per la pretenzione del prete officiante di poter cambiare il pane ed il vino nell’attuale corpo ed attuale sangue di Cristo, in modo che rompendo l’ostia, si rompe e sacrifica di nuovo il Signore per i peccati di colui per il quale è offerta la messa. Noi abbiamo gia dimostrato che, dal punto di vista divino, questi insegnamenti e queste pratiche sono abominazione agli occhi del Signore.—“L’abominazione della desolazione.”—Dan. 11:31,12:11

Questa falsa dottrina generò la desolazione e nella sua scía susseguirono i molteplici errori della Chiesa, la grande caduta nell’apostasia in cui perdura il sistema romano—il principale fra tutti I sistemi anti-Cristi. Questa direttiva predominò e divenne autorevole fra la Cristianità, durante parecchi secoli allorché al XVI°, la Grande Riforma cominciò a provocare un movimento d’opposizione e le verità che eran state nascoste durante gli Evi tenebrosi sotto le false dottrine, e le false pratiche dell’anti-Cristo, cominciarono a venire alla luce. Man mano, che i riformatori ricevettero in più gran misura le luci sull’intera testimonianza della Parola di Dio, da esse andarono traendo una veduta più chiara sul sacrificio di Cristo, cominciarono ad accorgersi che le teorie papali e le pratiche della messa erano effetivamente “l’abominazione. La Chiesa anglicana revisionò la sua liturgia nel 1552 e ne escluse il termine Messa.

L’usanza della Messa, praticamente, fu sostituito dalla celebrazione annuale del Memoriale della Cena del Signore, perché le Messe avevano luogo a frequenti intervalli onde purificare, così costantemente il popolo dai suoi peccati. Allorchè i riformatori rilevarono questo errore, provarono di rivenire alla semplicità della prima istituzione e negarono che la Messa romana fosse una celebrazione convenevole della Cena commemorativa del Signore. Tuttavia, non discernendo la strana relazione fra il tipo della Pasqua e l’antitipo della morte di nostro Signore, né discernendo che la Cena era una commemorazione dell’antitipo, non si resero conto che tale osservanza aveva la sua validità alla sua ricorrenza annuale; così, fra i protestanti, troviamo alcuni che la celebrano ogni mese, altri ogni quattro, agendo ogni denominazione, secondo il proprio giudizio. I “Descepoli,” i Battisti” ed i “Dissidenti” la celebrano, ordinariamente, ogni settimana, per una errata interpretazione delle Scritture, paragonabile all’altra errata interpretazione del battesimo. Essi si basano, per la celebrazione settimanale, della Cena, sui passaggi agli Atti 2:42-46; 20:7, leggendovi che la Chiesa primitiva si riuniva il primo giorno della “settimana e, in tali riunioni “essi rompevano il pane.”

Noi abbiamo già fatto osservare che queste riunioni settimanali non rappresentavano la commemorazione della morte del Signore, ma dei festini fraterni, in ricordo della Sua risurrezione e delle varie volte che i suoi discepoli avevano rotto il pane con il Signore, durante i 40 giorni che precedettero la Sua ascensione. Il pensiero di quegl’istanti in cui avevano rotto il pane con Lui, o i loro occhi erano stati aperti e lo avevano riconosciuto, li spingeva ad incontrarsi ogni primo giorno della settimana e, anche, contemporaneamente, a consumar un pasto fraterno, assieme, in cui rompevano il pane. Come abbiamo già fatto rilevare, il calice non è giammai menzionato in queste agapi, mentre, allorché si menziona la Cena Memoriale del Signore, esso è posto in rilievo al pari dell pane.

CHI PUÒ CELEBRARE LA PASQUA?

Anzitutto, premettiamo che chiunque non si confida nel prezioso sangue di Cristo riconoscendolo qual sacrificio per i peccati, non può essere in comunione. Niuno può porsi in comunione se non ha su l’architrave e sulla soglia della porta del suo tabernacolo terreno il sangue d’aspersione che ci parla della pace, in luogo d’invocar vendetta, come quello di Abele. (Ebrei 12:24) Niuno può celebrare la festà simbolica se non gli alberga nel cuore la vera festa e non accetta Cristo come colui che dà la vita. Inoltre, niuno può porsi in comunione prima d’essere un membro d’un sol corpo, d’un sol pane e avendo considerato la sua vita ed il suo sangue come essendo sacrificato con il Signore nello stesso calice, o coppa. C’è una linea di demarcazione chiaramente stabilita, non solo fra i credenti e gl’increduli, ma anche fra i consacrati e quelli che non lo sono; tuttavia questa demarcazione dura, per ogni individuo, sinquando non attesta la sua professione di fede mediante la sua condotta esteriore. Non è dato ad un membro di giudicarne un altro e nemmeno alla Chiesa, fino a quando non le è sottoposto il caso nella forma e nelle condizioni prescritte dalle regole stabilite. D’altronde gli anziani od i rappresentanti dell’assemblea devono regolarsi, secondo questi termini e condizione: (1) la fede nel prezioso sangue; e (2) la consacrzione al Signore ed al Suo servizio, anche, sino alla morte. Essi devono, allora, invitare tutti coloro i quali si trovano in tali condizioni di spirito e così consacrati, ad unirsi per celebrare la morte del Signore e la loro propria morte. Questo invito ed ogni altro che ha qualche rapporto con questa celebrazione devono essere fatti in un modo che escluda ogni idea di settarismo. Tutti devono essere i benvenuti, senza tener conto delle differenze che potrebbero sussistere su altri soggetti, allorché esiste il perfetto accordo su quanto concerne queste verità fondamentali—la redenzione mediante il prezioso sangue ed una piena consacrazione, sino alla morte, fondata su questa giustificazione.

È bene considerare quì le parole dell’Apostolo:

“Chiunque mangerà il pane o berrà del calice del Signore indegnamente, sarà colpevole verso il corpo ed il sangue del Signore. Or provi l’uomo se stesso, e così mangi del pane e beva del calice; poiché chi mangia e beve, mangia e beve un giudicio su se stesso, non discernendo il corpo del Signore.”—I Cor. 11:27-29

Questo avvertimento dell’Apostolo sembra indirizzarsi a coloro che celebrano questo anniversario con negligenza, facendone una festa cui s’invita gente d’ogni specie. Or non è questa una festa. È un servizio solenne, stabilito unicamente per i membri del Corpo di Cristo e chiunque non ravvisa ciò, non discerne che il pane rappresenta la carne di Gesù e la coppa, o calice, rappresenta il suo sangue, per cui, partecipandovi, s’attirerà una condannazione del Signore, nonché della propria coscienza. Perciò, prima di prender parte a questi emblema ciascuno individuo deve da se, accertarsi se crede e si confida, oppur no, nel corpo rotto e nel sangue versato di nostro Signore, riconoscendolo qual prezzo di riscatto; indi, se ha fatto o no la consacrazione di tutto l’essere suo, al fine di potersi considerare ed esser contato un membro di questo “solo corpo.”

Avendo dimostrato, dunque, quali devono esser considerati esclusi e quali possono aver accesso alla tavola del Signore, rileviamo che ogni vero membro dell’Ecclesia ha il diritto di parteciparvi, sempre che non ve ne sia stato escluso per unazione pubblica, della Chiesa, secondo le istruzioni date dal Signore. (Matt. 18:15-17) E son questi che possono e desiderano celebrare la Pasqua, conformandosi alle prescrizioni del Maestro: “Mangiatene tutti; bevetene tutti.” Così, comprenderanno che, sin quando non mangeranno la carne del Figlio dell’Uomo e non berrano il Suo sangue, non avranno la vita in se stessi: se, invece v’hanno partecipato realmente, col suore e con lo spirito ai meriti del sacrificio di Cristo ed alla Sua vita, sarà un piacere ed un privilegio il celebrare questa commemorazione e confessarla a tutti e davanti al Signore.

CHI PUÒ OFFICIARE

La falsa dottrina della Messa e la creazione di una classe nella Chiesa, nominata clero, che ha il mandato di adempiere tali funzioni e delle similari, ha creato un’impressione tanto profonda, nello spirito pubblico, che, persino i Protestanti reputano assolutamente necessario la presenza di “un ministro che abbia ricevuto gli ordini,” affinché offici questo servizio di commemorazione ed invocare la benedizione: considerando sacrilega ogni altra maniera di procedere in tal occasione. Ma questa teoria è facilmente riconosciuta erronea, rammemorandoci che tutti coloro i quali hanno il privilegio di partecipare a questa Cena Memoranda, sono dei membri del “Sacerdozio Regale”—aventi tutti ricevuto un incarico completo dal Signore per predicare la Sua Parola, secondo il lor talento e le occasioni ed essendo stabiliti per compiere ogni servizio o ministerio di cui son capaci per Cristo e per i membri del Suo Corpo e, nel Suo nome per degli altri. “Voi siete tutti fratelli” dice Gesù: e noi non lo dobbiamo dimenticare, allorché celebriamo la Sua opera redentrice, la nostra comunione con Lui e con gli altri membri.

In ogni piccolo gruppo del popolo del Signore, in ogni piccolo Ecclesia, o Corpo di Cristo, come abbiamo già indicato, secondo l’insegnamento delle Scritture, deve presiedere l’ordine e ciò significa che devono esservi degli “anziani.” Ben ché ogni membro della Nuova Creazione sia sufficientemente autorizzato dal Signore a prender parte nella distribuzione della Pasqua, la Chiesa, nel nominare gli anziani, indica che essi debbono essere i rappresentanti dell’intera assemblea, rispetto ad ogni sorta di servizio. Ciò stante, il dovere disporre e distribuire il pane ed il vino rientra nei servizii ai quali già sono stati designati e scelti dalla Chiesa.

Nostro Signore dice: “Dovunque due o tre sono raunati in nome mio, quivi io sono in mezzo a loro.” Queste parole indicano, in conclusione, che ovunque sia possibile, questa commemorazione deve essere celebrata da tutti i membri riuniti. La benedizione connessa a tale commemorazione si prefigge lo scopo di attirare i membri, l’un verso l’altro, non solo in tale riunione annuale, ma in altre, ogni, volta che ciò e possibile, per la meditazione della Parola. Ovunque, due o tre possono riunirsi (allorché non vi sono occasioni per essere in più) essi hanno il privilegio di poter celebrare come se fossero! Ecclesia completa e, se le circostanze obbligano un fratello ad essere solo, nell’impossibilità di riunirsi a dei fratelli, la sua fede deve essere assai forte nel Signore, per credere nella promessa: considerando il Signore con lui e, quindi, riuniti in due. Noi non pensiamo che un inevitabile isolamento possa e debba privare qualcune di prendere parte alla celebrazione annuale del gran sacrificio per i peccati e di parteciparvi con il nostro Signore. Il fratello, obbligatoriamente separato, si provvederà di pane non lievitato (che al bisogno può fare egli stesso) e del frutto della vigna, succo d’uva o vino, e celebrerà la Cena in comunione di spirito con il Signore e con gli altri membri del Corpo, dai quali per forza maggiore è separato.

UN ORDINE DI SERVIZIO

Benché il Signore non lasciò nessun ordine o regola nel servizio, noi crediamo dover consigliare, ciò che del resto è logico, un metodo moderato e ragionevole da adottare nella celebrazione di questa Cena: non con l’intenzione d’istituire una legge o una regola, ma in vista d’aiutare coloro che si dedicano a questo servizio, e quei che non hanno giammai presa la Pasqua.

1. Il servizio sarà aperto con uno o due inni, appropriati alla circostanza, cantati con solennità e riferentisi al soggetto della commemorazione.

2. La preghiera sarà fatta per chiedere la benedizione divina sull’assemblea e specialmente su coloro che devono partecipare alla Pasqua, e in detta preghiera saranno ricordati I membri del Corpo conosciuti e seonosciuti sparsi nel mondo intero e, particolarmente, coloro che celebrano la Cena nel suo anniversario.

3. Il fratello anziano che officia leggerà nelle Scritture il racconto dell’istituzione dell’annivesario.

4. Lo stesso fratello, o un altro, possono, in seguito, parlare sul soggetto, e presentare il tipo e l’antitipo: sia improvvisando che leggendo, quanto precede.

5. Nell’attirare l’attenzione sul fatto che il Signore ha benedetto il pane prima di romperlo, l’oratore può chiedere ad un altro fratello d’invocare la benedizione sul pane e se non v’è un fratello capace di esprimersi, lo farà egli stesso domandando la benedizione sul pane e su tutti coloro che devono parteciparvi, al fine che gli occhi del loro intendimento siano aperti per apprezzare e comprendere la profondità del significato del simbolo ed al fine che tutti siano in comunione benedetta con il Signore, sia nell’usare che nel rinnovare la propria consacrazione: nell’esser rotti con Lui.

6. Nel rompere il pane senza lievito, saranno pronunziate le parole consecrate dal Signore: “Questo è il mio corpo che è rotto per voi,” “fate questo in memoria di me”; indi il pane deve essere presentato a tutti da un fratello o dallo stesso che fa il servizio. Nel caso in cui la congregazione è numerosa, possono essere adibiti parecchi fratelli alla distribuzione.

7. Il più profondo silenzio deve essere osservato mentre circolano gli emblemi, a parte qualche breve rilieve appropriato sul significato del pane e come noi ci nutriamo del Signore. Tuttavia è preferibile che tali dettagli siano espressi prima della distribuzione, allorché il fratello da la spiegazione generale, onde la comunione dei partecipanti non sia turbata.

8. La benedizione sul calice deve essere chiesta come la chiese il Signore, il quale lo prese, lo benedisse e lo porse ad i suoi discepoli. Questa preghiera di azioni di grazia e d’implorazioni per le benedizioni su coloro che vi partecipano, può essere presentata da un fratello ed il calice può farsi circolare, quindi, mantenendo il silenzio.

9. Terminato il servizio, noi crediamo che il metodo, impiegato dal Signore, deve essere seguito da un cantico, per chiuderlo, e l’assemblea dovrà sciogliersi senza pregare. Crediamo anche che, in tale occasione, i saluti abituali ed il trattenersi nell’informarsi sulla salute ed altri dettagli familiari deve essere evitato il più possibile per non distogliersi dalle riflessioni e dalla intima comunione in cui ognuno deve cercare di restare il più possibile, non solo durante la notte, ma al giorno seguente, tenendo presente nello spirito le esperienze del Signore a Getsemani ed il bisogno che Egli sentì d’essere aiutato e confortato: considerando che ogni membro del Suo corpo potrà aver il suo Getsemani, cioè il bisogno d’essere confortato ed aiutato dai suoi fratelli.

Del Maestro è scritto che Egli non aveva alcuno per sostenerlo, che tutti lo abbandonarono e niuno simpatizzò con Lui nell’ora della sua prova. Per noi è differente. Noi abbiamo gli altri membri del Corpo, i nostri compagni, battezzati come noi nella morte, impegnati come noi per essere “rotti” come membri dell’unico pane, accettati ed unti dallo stesso Spirito Santo. Cerchiamo, quindi, d’aiutarci scambievolmente, ricordandoci che quanto facciamo a prò del più piccolo membro del corpo, è a prò di Gesù che lo apprezza. Ricordiamoci anche l’esempio di Pietro, la sua impulsività, nell’ardente zelo al servizio del Signore, la sua debolezza, al momento della prova, ed il bisogno che ebbe dell’aiuto di Gesù e delle sue preghiere. “Io ho pregato per te, affinché la tua fede non venga meno.” Il ricordo di questi particolari ci può aiutare grandemente, come Pietro fu aiutato. Noi possiamo anche essere resi capaci di fondar dippiù nel Signore al fine che Egli ci faccia la grazia nel “soccorrerci al memento opportuno.”

È opportune ricordarci, anche, che la caduta di Giuda ebbe origine dal suo egoismo, dalla sua ambizione e cupidigia e, allorché noi rammemoriamo che Satana entrò per la porta dell’egoismo in lui un pò per volta, ciò potrà esservi di grande aiuto per essere in guardia, onde non cadere nelle trappole tese dall’avversario, e non rinnegare il Signore che ci ha riscattati, per niuna ragione ed in nesun senso, né tradire i fratelli o la Verità. Se durante il giorno seguente alla celebrazione, abbiamo presente nello spirito costantemente le esperienze del nostro diletto Redentore, non solo potremo simpatizzare più ardentemente con Lui, ma troveremo meno strane le diverse prove cui, noi suoi discepoli, potremmo essere sottoposti. E potremmo soggiacerci sino alla fine, nel tener presente nella nostra memoria le sue ultime parole “tutto è compiuto,” dalle quali si rileva il compimento avvenuto del Suo sacrificio per i peccati, a favor nostro, onde per le sue lividure noi ci troviamo guariti e possiamo sapere anche per esperienza che Egli è sempre vivente per intercedere a nostro favore e soccorrerci al momento favorevole a questo punto. Nel volume originale del fratello Russell segue una spiegazione del titolo data alla Pasqua dal popolo sassone cioè “Ester Sunday” o la Domenica della Regina Ester.

Nella lingua Italiana questo titolo non è usato e perciò tale spiegazione fu eliminate da questo Studio Italiano.

PASQUA

Questo termine è stato adottato per menzionare il tempo che scorre dalla celebrazione della morte del Signore sino al tempo delle benedizione della Pentecoste. Per i Protestanti, tale termine designa un giorno invece di un periodo, come era il caso nel passato e come è il caso per i cattolici. Questo giorno è nomato la domenica di Pasqua. Qual che sia la commemorazione della risurrezione del Salvatore, essa sarà sempre preziosa al suo popolo, ma per coloro che apprezzano realmente questa risurrezione, ciascuna domenica è un giorno di Pasqua, poiché ciascuna domenica è una commemorazione della risurrezione di nostro Signore.

Il nostro pensiero, nel parlare di questo soggetto è di attirare l’attenzione del lettore sul significato che i cattolici hanno del termine Pasqua il quale comprende il venerdi santo, come la domenica ed è sinonimo di tempo di Pasqua. L’introduzione della Messa e la sua frequente osservanza avrebbe dovuto aver per conseguenza di porre a parte interamente la celebrazione della commemorazione annuale della morte del Signore al suo anniversario reale, ma non fu il caso. L’usanza della prima Chiesa di celebrare il grande evento centrale ed il fondamento stesso della propria esistenza continuò, benché la celebrazione della Cena non si fece più al proprio tempo, essendo rimpiazzata dai numerosi sacrificii della Messa. Fu così che questa commemorazione particolare perdette il suo significato.

Lungo il corso di secoli ebbe vigore l’usanza di contare la data della crocifissione di nostro Signore, secondo il calendario Ebreo, come abbiamo spiegato, ma in seguito, per rompere al più possibile con le istituzioni ebree, è stato ammesso un cambiamento nel metodo di contare la data della morte di Cristo, nostra Pasqua. Il Concilio Ecumenico di Nicea decretò che, da allora, la Pasqua sarebbe stata celebrate il venerdì seguente la prima luna piena dopo l’equinozio primaverile. Questo cambiamento, non solo stabili la celebrazione universale della morte di nostro Signore ad un venerdì, nomato Venerdì Santo, ma stabilì anche un tempo che si accorda raramente con la celebrazione della Pasqua Ebrea. La differenza nel metodo di contare di costoro è nel fatto che essi attendono l’equinozio della primavera, cominciando il loro mese con la prima nuova luna che lo segue e celebrano la Pasqua alla luna piena, cioè al 14° giorno. C’è, così, una differenza di circa un mese nelle due maniere di contare.

Siamo noi che dobbiamo discernere qual’è il metodo giusto e, senza dubbio, scegliamo quello del Signore e degli Apostoli, non perché sottostiamo ad una coercizione nel timore di commettere un delitto, nell’ingannarci nel nostro calcolo e celebrare la Pasqua ad una data sbagliata. Noi volgiamo, tuttavia, celebrare questa festa nella soddisfazione di esserci adoperati con ogni nostro sforzo per seguire il più possibile il modello della divina istituzione. Qualcuno forse dirà che sarebbe meglio di fissure le nostre date seguendo il calendario moderno e porre Pasqua al 1°, al 15 aprile o ad un altra data, così non ci sarebbe bisogno di alcun calcolo. Noi rispondiamo che il Signore evidentemente ha una ragione per disporre il calendario Ebreo come fece e perciò preferiamo di seguire la sua istituzione.

In un senso particolare, noi riconosciamo che, se il sole è il simbolo del Regno spirituale di Dio, la luna è il simbolo del Patto della Legge e del popolo, il, quale era sotto questo Patto. C’è una ragione per cui la crocifissione di nostro Signore ebbe luogo esattamente alla luna piena, poiché, per la predeterminazione di Dio, non fu permesso agli Ebrei, come avrebbero voluto, d’arrestare Gesù, in quanto la “sua ora non era ancora venuta.” (Giov. 7:30, 8:20) La crocifissione alla luna piena ed il fatto che la luna cominciò a decrescere, indica che Israele si è attirato il rigetto di Dio per un tempo: giacché la decrescenza della luna rappresenta il declino della loro nazione.

Per corroborare quanto abbiamo esposto riportiamo questo estratto d’ un’autorevole erudizione in materia:

DALL’ENCICLOPEDIA MC.CLINTOCK E STRONG

“Pasqua—Le Chiese dell’Asia Minore celebravano la morte del Salvatore il giorno che corrispondeva al 14 del mese di Nisan, giorno della crocifissione, secondo l’opinione dell’antica Chiesa. Le Chiese d’Oriente (Roma), d’altro canto, pensarono che la crocifissione doveva essere celebrate annualmente il giorno della settimana, in cui ebbe luogo: cioè il venerdì. Le Chiese d’Oriente considerarono il giorno della morte di Cristo, come un giorno, di afflizione e non terminavano il loro digiuno prima del giorno della risurrezione. Le Chiese dell’Asia Minore consideravano la morte di Cristo come una redenzione per l’umanità e terminavano il loro digiuno all’ora della morte di Cristo, alle tre dopo mezzogiorno e, immediatamente dopo celebravano l’agape e la Cena del Signore. Le due parti (ortodossi Orientali e Chiese Occidentali) adottarono il nome di Pasqua (Pasqua degli Ebrei) col quale designano: il giorno speciale di festa di questa settimana, nonché l’intera settimana commemorative di Pasqua.

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