AURORA
Maggio-Giugno 2012

Contenuto Di Questo Numero

  1. Che Ha Donato Iddio?
  2. La Via Della Sapienza
  3. La Vera Luce

Che Ha Donato Iddio?

LA BIBBIA IDENTIFICA molti e diversi doni che Iddio ci ha largiti. Fra essi, il Supremo è quello del Suo diletto Figliuolo, Unigenito. (Giovanni 3:15) Indi. Il dono dello Spirito Santo definito da Gesù una benedizione. Egli disse in proposito: “Se voi che siete malvagi [succubi del peccato Adamico] sapete dar buoni doni ai vostri figliuoli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloroo che glielo domadano.” Paolo, nella seconda Epistola a Timoteo, 1:7, assicura che ‘Iddio ci ha dato uno spirito, non di timidità, ma di forza, d’amore, e di correzione [cioè, di mente sana]. Ed è lo Spirito Santo che agisce nei nostri cuori, sotto questi tre aspetti benefici, per conformarci ad una perfetta vita Cristiana.

Tutti i riflessivi studiosi della Bibbia rilevano che ogni sua citazione diviene accessibile alla nostra mente, se viene letta nel contesto del quale ne è parte. E noi crediamo che tale opinione sia rispondente al vero , in quanto ce lo asserisce anche l’Apostolo nel farci osservare quel che Iddio ci ha dato.

Nella precitata epistola, troviamo una gran luce chiarificante il nostro testo. Infatti, ci è rivelato che Paolo si avvicinava alla fine della Sua vita Cristiana. Egli, imprigionato in un carcere di Roma, era stato condannato a morte e, tuttavia, non ne era affranto, poiché scrise a II Timoteo 4:6-8: “Secondo le proprie voglie [degli avversarii di Cristo], distoglieranno le orecchie dalla Verità e si volgeranno alle favole. Ma tu sii vigilante, in ogni cosa, soffri, afflizioni, fa l’opera d’Evangelista, compii tutti i doveri del tuo ministerio. Quanto a me, io sto per essere offerto a mò di libazione [sacrificio] ed il tempo della mia dipartita è giunto. Ho combattuto il buon combattimento, ho finita la corsa, ho serbata la fede.”

Paolo, pronto ad essere offerto in sacrificio, desiderava solo conforto e compagnia, perciò chiese a Timoteo d’andare a trovarlo, al più presto possibile, a gli scrisse ancora: “Studiati di venir presto da me; poiché Dema [uno di suoi collaboratori], avendo amato il presente secolo, mi ha lasciato e sen’è andato a Tessalonica; Crescente in Galazia, Tito in Dalmazia. Prendi Marco e menalo teco.” (vss. 9-11) Poi, riferendosi ad un altro discepolo, ‘Alessandro, il remaio, dice—mi ha fatto male assai, il Signore gli renderà secondo le sue opere! Da lui, guardati anche tu, poiché egli ha fortemente contrastato le nostre parole.”—vss. 14 e 15

Nel 15° versetto della stessa Epistola, poi, dice: “Tu sai questo: che tutti quelli che sono in Asia, mi hanno abbandonato …” Or, ponendo in relazione questa lagnanza, col contenuto dei precitati versetti, nei quali accusa alcuni che alcuni collaboratori lo avevano lasciato ed altri erano divenuti addirittura oppositori, discerniamo la ragione dell’insistenza di voler parlare con Timoteo e Marco. Infine, dice: ‘Nella mia prima difesa, niuno si è trovato al mio fianco, tutti mi hanno abbandonato, me non sia loro imputato! Il Signore è stato meco e mi ha fortificato, affinché l’Evangelo fosse, per mezzo mio, pienamente proclamato e tutti i Gentili lo udissero. E sono stato liberato dalla gola del leone.’ (vss. 16 e 17) Le dichiarazioni di Paolo, circa le defezioni dei suoi collaboratori pongono in risalto che essi avevano temuto d’incorrere nel medesimo pericolo d’essere incarcerati e, probabilmente, condannti a morte.

Paolo non cercò di nascondere a Timoteo tale situazione, anzi fece rilevare al suo diletto figliuolo spiritual “di non aver vergogna della testimonianza al Signor nostro né di sé stesso che era in catene per Lui;-e lo esorta in questi termini – ma sofri anche tu per l’Evangelo, sorretto dal Potere di Dio.”—II Tim. 1:8

IL POTERE DI DIO

La paura non deve trattenere, in nulla e per nulla coloro che hanno consacrata la loro vita al servizio del Signore. Paolo chiese a Timoteo d’andarlo a visitare nella prigione, pur rendendosi conto che avrebbe potuto incorrere nel pericolo d’essere imprigionato e lo stesso timore dovette assillare Timoteo. Noi non siamo in grado di reperire la vera causa dell’insistenza di Paolo nel solecitar Timoteo d’andar da lui, ma ciò non è necessario, perché dobbiamo considerare che il comportemento di Paolo in quel frangente costituiva un esempio di sovrumano sprezzo dogni pericolo, per di compiere la Volontà divina. La situazione deve essere considerata, sotto i varii aspetti d’ordine Spritturale, concernenti i doveri d’ogni consacrato al Signore. E precisiamo, però, che la situazione totale deve essere ben esaminata.

In altri termini, gli appartenenti al popolo del Signore non debbono necessariamente esporsi a dei pericoli solo per dimostrare il loro coraggio, poiché ciò potrebbe essere considerato di voler tentare il Signore, come fece rilevare Gesù a Satana allorquando costui gli chiedeva di gettarsi dal pinnacolo del tempio, per dimostrargli che era Figliuolo di Dio, e non sarebbe morto, perché gli: Angeli di Dio lo avrebbero salvato. Gesù gli rispose: “è, altresì scritto: non tentare il Signore Iddio tuo.” (Matteo 4:5-6) Or, mentre il Signore non ci ha dato lo spirito di timore, ci ha dato quello ‘del Potere,’ per il quale siamo abilitati a renderci ‘partecipi alle afflizioni di Cristo.’ E, mantenendoci fedeli all’Evangelo, renderemo testimonianza d’esso con zelo e coraggio, partecipando, così, ‘secondo il Vangelo [di Paolo], alle afflizioni, sino ad essere incatenato com un malfattore.’—2 Tim. 2:9

LE PROMESSE DI DIO

Una rilevante sorgenute di energia per i Cristiani, è reperibile nelle promesse divine. Per la salda fede in esse, riceviamo il coraggio e la forza di proseguire nella via che conduce all Croce. Noi percepiamo la voce del Signore che ci dice: “Io non ti abbandonerò giammai, né ti dimenticherò” a proviamo sollievo, nella certezza che EGLI c’è sempre vicino, per guidarci, col Suo Spirito a superare le esperienze per cui dobbiamo passare per crescere quale “Nuove Creature.”

Non dimentichiamo la meravigliosa promessa comunicataci da Davide (Salmo 34:7), che “l’Angelo dell’Eterno s’accampa attorno a quelli che LO temono [riveriscono], e li libera,” Per la nostra fede, noi intravediamo questi invisibili messaggeri di Dio attorno a noi, in ogni occorrenza. Essi sono “gli Spiriti ministratori, mandati a servire a prò di coloro che hanno da ereditare la slavezza.” Or tale salvezza, prima d’esser stata annunziata dal Signore, ci è stata confermata di quelli che l’avevano udita.”—Ebrei 1:14; 2:3

Paolo ci assicura che l’Onnipotenza divina, per la quale Gesù risuscitò dai morti, è ancora operativa, a nostro favore. (Efesini 1:19, 20) Per estrinsecare tal sommo Potere Paolo “reputò ogni cosa essere un danno di fronte, all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, Suo Signore, per il quale rinunziò a tutte le cose, reputandole spazzature …” (Filip. 3:8-11) Egli sapeva che l’assoluta rinunzi di ogni bene terreno, comportava il soffrire come, a quanto, soffrì Cristo per l’intera umanità, sino a morire su la croce. Infatti, quando Paolo fu chiamato al ministerio, da nostro Signore, ebbe rivelate tutte le sofferenze che avrebbe patite (Atti 9:16), per il Suo Nome. Ma ciò non lo sgomentò, perchè sapeva quanto era immenso il Potere di Dio ed aveva fede che, per esso, avrebbe superato ogni intralcio e difficoltà. E, poi, eccolo prigioniero, a Roma, lui cittadino romano, assicurare Timoteo su la gloriosa necessità del vivere cristiano, la cui norma principale resiede nel votarsi a la morte.

Ma il Signore dà la forza a tutti gli appartenenti al Popolo Suo, come ce lo assicura anche il profeta Isaia, in questi termini: “Non sai tu? Non l’hai udito, tu? L’Eterno è l’Iddio della eternità, il Creatore degli estremi confini della terra, e non si affatica, né si stanca: la Sua intelligenza è imperscrutabile. Egli dà forza allo stanco ed accresce il vigore di colui ch’è spossato. I giovani si affaticano e si stancano; i giovani scelti vacillano e cadono, ma quelli che sperano nell’Eterno acquistano nuove forze, s’alzano a volo, come aquile; corrono e non si stancano, camminano e non s’affaticano.”—Isaia 40:28-31

LO SPIRITO D’AMORE

Paolo ci rende noto chi il Signore da, anche, ai componenti del Popolo Suo lo Spirito d’Amore. L’Amore di Dio ci è rivelato mediante il Divin Piano: “cioè, tramite la merevigliosa Verità, insita nella Sua Parola, l’AMORE SUO è stato sparso nei nostri cuori, per lo Spirito Santo, che ci è stato dato.” (Rom. 5:5) Ma, per ottenerlo, dobbiamo bandire dai nostri cuori ogni traccia d’egoismo, poiché l’Amore divino non s’accorda ad operare ove si abbarbiglia l’egoismo.

Or, considerate che lo Spirito d’Amore costituisce l’energia motrice di quanto, pensiamo, diciamo ed operiamo: e Paolo scrisse al riguardo: “Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli Angeli, se non ho carità [espressione del puro amore], divento un rame risonante, o uno squillante cembalo. E, quando avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza ed avessi tutta la fede, in modo da trasportare i monti, se non ho la carità, non sono nulla. E quando distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri, e dessi il mio corpo ad essere arso, se non ho la carità, ciò niente mi giova.”—I Cor. 13:1-3

Paolo chiese a Timoteo, d’andare a visitarlo nella prigione, e ciò, dal punto di vista umano, comportava il rischio d’incorrerere nella stessa pena inflitta all’Apostolo. E, se detta visita fosse stata effettuata ed avrebbe prodotto il sacrificio della vita di Timoteo—dando il suo corpo ad essere arso—tale dedizione non sarebbe stata profittevole, dal punto di vista del Signore, qualora Timoteo non avesse agito, nell’assoluto amore di servire Paolo e la sua Causa. Certo, soffrire a morire per Gesù, costituisce un gran privilegio, poiché coloro che sono chiamati per seguire le Sue Orme, otterranno, dopo di vivere e regnare con Lui, nel Suo Regno, in quanto hanno accettato, con tutto il cuore il dono dell’Amore, quale è concepito da Dio.

LO SPIRITO DELLA MENTE SANA

Oltre allo Spirito di “Potere e d’Amore” il Signore concede anche, al Suo Popolo lo ‘Spirito’ della mente sana. Or, quali sono le peculiarità di tal Spirito? Dal punto di vista umano, esse risiedono nel potere e sapere valutare le varie evenienze, circostanze ed idee della vita, per adoperarsi ad affrontarle secondo un discernimento, improntato all’osservanza delle leggi e dei precetti divini: ciò, perché ad una mente insana quasi tutto appare sotto una falsa luce e distorto.

Il tempo presente non è ancora quello prestabilito nel Divin Piano, in cui sarà effettuata la completa restaurazione di tutte le cose e, quindi, tutti i menomati, d’ogni genere otterranno la completa sanità corporale e mentale.

Noi opiniamo che “lo Spirito di mente sana” citato da Paolo, consiste in peculiarità che altrepassano le possibilità della mente umana, che, pur pensando e quotando ragionevolmente, arriva solo a logiche conclusioni di semplici assunti … Detto Spirito, invece, constituisce una dotazione concessa alle NUOVE CREATURE, guidate dallo Spirito Santo, per operare secondo la Volontà di Dio. In effetti, rileviamo che colui il quale è guidato dallo Spirito di Dio, agisce in maniere differenti dal comune e segue un corso di vita che, dal punto di vista e del senno umano, potrebbe sembrare irragionevole.

L’apostolo Paolo c’indica un chiaro esempio al riguardo, agli Atti 20:24, che vi riportiamo: “—mentre era nella sala del tribunale per rispondere agli addebiti imputatigli ed esponeva le sue fondate ed assolute credenze su la fede in Dio e Gesù Cristo—Festo, governatore della Giudea, disse ad alta voce: ‘Paolo, tu vaneggi la molta dottrina ti pone fuori senno.’ (Atti 28:2) La ‘molta dottrina’ alla quale si riferì Festo, definendola ‘vaneggiamento’ era [com’è, per ogni fedele consacrato a Dio] derivazione deg-l’insegnamenti, ricevuti da Paolo alla scuola di Cristo, per cui era stato conformato, secondo lo ‘Spirito di mente sana,’ che Festo reputava, invece, quale follia, o peggio.

LA VISTA DI TIMOTEO

Dal punto di vista umao, non sarebbe sembrato saggio, per Timoteo, recarsi a visitare Paolo nella prigione di Roma, La mente dell’uomo comune, avrebbe reputato che, oltre a non poter essere d’alcuna utilità all’Apostolo tale visita, avrebbe potuto costar la vita a Timoteo. Ma Paolo reputava che tale visita ed il probabile pericolo in cui avrebbe potuto incorrere Timoteo, non dovevano spaventarlo. E, nel caso che questo amato giovane, soldato della croce evesse avuto paura, doveva stornarla da sè, poiché ”nell’amore non c’è paura” (I Giov. 4:18), poiché Iddio dà forza ai componenti del popolo Suo per compiere quel che loro compete nel servir Lo: tanto più nel caso in esame—vi era una valida ragione, nella insistenza di Paolo di recarsi da lui, espressagli in questi termini: “Tu, dunque, figliuol mio, fortificati nella grazia che è in Gesù Cristo e le cose che hai udite da me, in presenza di molti testimoni, affidale ad uomini fedeli i quali sono in grado d’insegnarle ad altri.” (cap. 2:1-2) Probablimente, Paolo insisteva che egli andasse da lui, avendo altre istruzioni da comunicargli che non reputava saggio d’inviare tramite lettera.

UN SERVIZIO RAGIONEVOLE

In ogni caso, sembra che Paolo reputava necessario che Timoteo si comportasse adoperando lo Spirito di mente sana—di cui sapeva che era dotato—per recarsi da lui, anche se avesse potuto incorrere in qualche pericolo: tanto più che, di certo, doveva ricordare quanto aveva scritto ai Romani e, quì, riportiamo: “Io vi escorto, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, accettevele a Dio, in quanto è il vostro culto Spirituale.”(12:1) Una mente sana-acquisita dalle Nuove Creature—discerne la necessità di presentare in sacrificio al Signore la propria vita, dato che ha ben appreso che deve seguire l’esempio di Cristo ‘il quale ha dato la Sua vita per noi.’—I Giov. 3:16

In conclusione: quanto esposto, nei precedenti paragrafi, dimostra ampiamente la ragionevolezza del sacrificio della propria vita, offerta dalla Nuova Creatura. E non rifuggiamo dal ripetere che abbiamo una eccellente illustrazione di tal dovere, nel sacrificio di Gesù, che è il nostro Esemplare e, per cui, calchiamo le Sue Orme, lungo la Via che conduce alla Vita. Gesù diede l’anima Sua alla morte e, come un agnello, fu portato allo scannatoio. Al prinipio del suo ministerio, Gesù evitò d’esporre la sua vita al pericolo, allorquando, accortosi d’aver dei ciechi nemici, nella Giudea, si spostò verso il nord della Galilea: non per paura, ma perché sapeva che non era ancora giunto il tempo in cui il Padre Celeste aveva prestabilita l’effettuazione del suo sacrificio. E, quanto, poi, giunse “il tempo,” Egli tornò nella Giudea e, senza esitazione, ‘annunziò ai Suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme, soffrire molte cose dagli Anziani, dai Capi-sacerdoti, e dagli Scribi, ed essere ucciso e risuscitare al terzo giorno.’—Matteo 16:21

L’OBIENZIONE DI PIETRO

A Pietro apparve che l’amato Maestro stava per commettere un serio errore, nell’esporsi da sé stesso al pericolo di perdere la vita. Perciò, trattolo in disparte, cominiciò a rimproverarlo dicendo: “Tolga ciò Iddio, Signore, questo non ti avverrà mai.” (Mat. 16:22) Ma Gesù, rivoltosi, disse a Pietro: vattene via da me, Satana, tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini.”—vs. 23

L’intento di Pietro verteva al bene, ma scaturiva da sentimenti umani. Chiunque altro, non guidato dallo Spirito divino, avrebbe ragionato nello stesso modo; ma, riguardo a coloro che hanno steso un Patto di consacrazione a Dio, nel sacrificare la propria vita, per la Causa Sua, il ragionamento di Pietro non era in rispondenza ai precetti di un fedele consacrato al Signore. Perciò Gesù disse ai suoi discepoli: “se uno vuol venire dietro a me, rinunzii a sé stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la sua vita, la perderà; ma chi avrà perduto la sua vita, per amor mio, la troverà. E che gioverà ad un uomo se, dopo aver guadagnato tutto il mondo, perde, poi, l’anima sua? O che darà l’uomo, in cambio dell’anima sua?—vss. 24-26

In questa chiarificazione, Gesù assicua i Suoi discepoli che Egli, difatti, non stava a gettar via la sua vita inutilmente, ma seguiva il giusto corso che conduceva alla vita: quella immortale e, quindi, divina. Egli aveva steso un Patto col Padre celeste, per cui, sacrificando la Sua vita, sarebbe divenuto il Redentore del mondo; ed EGLI [il Padre] lo aveva assicurato che l’avrebbe resuscitato. Queste promesse costituirono una così grande gioia per Gesù, da abilitarlo a sopportare la Croce, “sprezzando il vituperio, e ponendosi alla destra del Trono di Dio.”—Ebrei 12:2

Gesù sapeva che l’unica via per adire alla vita futura, nella stessa gloria del Padre celeste, risiedeva nel sacrificare la sua vita terrena per operare al risultato cui ambiva a favore dell’umanità ed in ossequio ai propositi divini, di cui il Piano del Padre celeste. Così, la sola via da seguire risiedeva nel perdere la Sua vita terrena per riscattare l’umanità e, contemporaneamente, mantenere come desiderava, una devota ubbidienza al Padre celeste.

COME SEGUIRLO

Gesù invitò i Suoi discepoli, che desideravano seguirlo, a prendere la loro croce e calcar le Orme sue, sino alla morte. Ciò stante, quando stabiliamo attenerci alle norme da Lui stabilite, siamo obbligati a procedere nella vita, quale Egli la visse. E la mente del Signore divine la nostra guida e possedermo “lo Spirito di mente sana,” che non ci tratterrà dal sacrificare la nostra vita, anzi ci spronerà a valorizzare tutte le opportunità che ci permetteranno di offrirla in olocausto. Di conseguenza, essendoci ingaggiati lungo questo corso della vita terrena, a sacrificare la vita, per ottenere ‘il premio della superna vocazione di Dio.’ (Filip 3:14), procediamo in maniera da renderci immuni da ogni allettamento umano.

Paolo era molto addentro al sistema di vita di Gesù e conosceva che, per gli alti intenti che perseguiva, nel raggiungere la Mèta prestabilita s’era recato a Gerusalemme ove pullulavano i suoi nemici. Ciò stante, quando “un certo profeta, nomato Agabo, presa la cintura di Paolo, si legò, con essa, mani e piedi, e disse ‘questo dice lo Spirito Santo: così legheranno i Giudei, a Gerusalemme, l’uomo di cui è questa cintura, e lo metteranno nelle mani dei Gentili’ (Atti 21:10,11), ma Paolo non gli diede alcuna importanza.

Ciò, perché, quando gli amici suoi [come Pietro fece con Gesù], cercarono dissuaderlo dall’andare a Gerusalemme, non ci riuscirono, poiché egli reperì—al pari di Gesù—che erravano, mancando loro lo Spirito della mente sana. “Perciò disse loro: che fate voi, piangendo e spezzandomi il cuore? Poiché io sono pronto, non solo ad essere legato, ma, anche a morire a Gerusalemme, per il nome del Signore, Gesù.”—vss. 12, 13

LA NOSTRA “GERUSALEMME”

La nostra “Gerusalemme” si presenta a noi in tante varie maniere di offrire la nostra vita. Ogni mattina, il nostro pensiero deve rivolgersi, dapprima, a riaffermare il voto di consacrazione della nostra vita per la estrinsecazione del servizio nel Campo del Signore. Ogni sera, poi, riandando alle esperienze del giorno, dobbiamo sentirci in grado di poter dire al Signore che abbiamo assolto il compito affidatoci, in ragione di quanto EGLI ci ha concesso di operare. E dobbiamo chieder Gli: ‘abbiamo sorvolata qualche buona opportunità d’esplicare il nostro servizio, perché c’è apparsa difficile effetturala, a prò del nostro dovere?’

E, giorno, dopo giorno, mentre affrontiamo le angustie della nostra “piccola Gerusalemme,” adoperiamoci a bandire dal nostro animo la paura, considerando che essa non appartiene al Signore. Così c’impossesseremo del coraggio, che ci concederà lo Spirito del Potere, occorrente a profittare di ogni opportunità concessaci di operare rettamente e proficuamente. Adoperiamoci, anche, nel corso della giornata, ad annullare ogni più piccolo impulso egoistico, attenendoci a soppiantarlo con espedienti che riconosciamo corrispondere alla Volontà di Dio. E solo così potremo proseguire lungo la via dell’Amore in cui EGLI ci ha concesso di procedere e ci ha guidato e guiderà.

Se il mondo—o gli amici del mondo—ci mettessero in ridicolo, per la nostra stretta osservanza, nel servire il Signore, rammentiamoci che siamo tenuti a “presentare i nostri corpi in sacrificio vivente, santo accettevole a Dio, essendo il nostro culto razionale”: poiché, in tale maniera, possiamo—e dobbiamo—sperare di ottenere la vita celeste e partecipar a regnare con Cristo, nel Suo Regno. Adoperiamoci, quindi, come Paolo, di non ‘far conto della vita, quasi ci fosse cara, pur di compiere il nostro corso ed il ministerio, che abbiamo ricevuto da Gesù, consistenete nel testimoniare dell’ EVANGELO della grazia di DIO.”—Atti 20:24

ALDA BRUNO



La Via Della Sapienza

“…MA DOVE TROVARLA? E dov’è il luogo dell’intelligenza? L’uomo non ne sa la via, non la terra dei viventi. …Donde vien, dunque, il luogo dell’intelligenza? Essa è nascosta agli occhi d’ogni vivente. È celata agli uccelli del cielo. L’abisso dice non è in me. Il mare dice non sta in me. Non la si ottiene in cambio d’oro d’Ofir, con l’onice preziosa, o con lo zaffiro. L’oro ed il vetro non reggono al suo confronto, non la sidà in cambino d’oro fino. Non si parli, di corallo, di cristallo; la Sapienza val più delle perle.—Giobbe 28:13-19

“Essa è nascosta agli occhi di ogni vivente, è celata agli occhi del cielo. L’abisso e la morte dicono: ‘ne abbiamo avuto qualche sentore.’ Dio solo conosce la via che vi mena, Egli solo sa il luogo ove dimora, perché il Suo sguardo giunge sino alle estremità della terra, Perché Egli vede tutto quello che è sotto i cieli. Quando regolò il peso del vento e fissò le misure delle acque, quando dette una legge alla pioggia e tracciò la strada al lampo dei tuoni, allora la vide e la rivelò, la stabili ed anche la investigò. E disse all’uomo: ‘Ecco, temere [riverire] il Signore, questa è la Sapienza, e fuggire il male è l’intelligenza.—Giobbe 28:21-28

Dal Libro di Giobbe apprendiamo che egli fù un uomo giusto, pien di riverenza e rispetto, verso il Signore, ed amorevole con i suoi dieci figliuoli. Fu, anche ricco ed instruito, ma, inspiegabilmente, e, quasi reprentinamente, ogni ricchezza e tutto quello che possedeva, compreso i suoi figli [che perirono, assaliti dai Sabei: Abissini indolatri: Isaia 45:14. Egli fu afflitto da calamità d’ogni genere e senza tregua. E, persiho, la lebbra invase le sue povere membra! Purtuttavia, non perdette la sua fede nel Signore, ma Lo invocò per chieder Gli ove e come avrebbe potuto trovare la Sapienza, onde potersi spiegare la ragione per la quale era stato ridotto in tanta miserevole e triste condizione, senza aver infranto le Leggi divine, né aver commeso cattive azioni.

Anche altri uomini, fedeli al Signore ed alle Sue Leggi, ebberto l’impellente desiderio di spiegarsi la ragione per cui dovettero sottostare a traversìe e persecuzioni, mentre procedevano nelle vie, tracciate loro dal Signore. Al par di costoro, anche Mosè invocò l’Eterno (Esodo 33:13-18), in questi termini: “Deh, fammi conoscere le tue vie, onde io Ti conosca e possa trovar grazia agli occhi tuoi; considera, anche, che questa nazione è popolo tuo” E l’Eterno rispose: ‘La mia presenza andrà teco ed io ti darò riposo.’ E Mosè gli disse: ‘se la Tua presenza, non viene meco, non ci far partir di quì. Poichè, come si farà, ora, a conoscere che io ed il Tuo popolo abbiamo trovato grazia agli occhi Tuoi? Questo distinguerà me ed il Tuo popolo, da tutti i popoli che sono su la faccia della terra.’ Ed il profeta Davide (Salmo 25:4-5), innalzò anche lui questa preghiera: ‘Fammi conoscere le Tue vie insegnami i tuoi sentieri, guidami nella tua verità ed ammaestrami, poiché tu sei l’Iddio della mia salvezza.”

E, come l’antico Giobbe, anche in questi tempi alcuni dei fedeli Cristiani chiedono spiegazioni, nelle prove—spesso assai dure—in cui vengono a dibattersi. Perché tante grandi masse umane sono sottoposte ad una distretta che le distrugge e quei che sono risparmiati restano perplessi non sapendosi spiegar le ragioni? Perché l’inespicabile accelleramento di problemi, che potrebbero risolversi a favore dell’umanità—con equità e giustizia—sfociano in atroci guerriglie, apportatrici di stragi, morte, e distruzioni che, in luogo di far allibire coloro che le generano sono incoraggiati a proseguire [come spesso avviene nelle interminabili e lunghe guerre e guerriglie che affligono Stati e staterelli?] Dov’è dunque la Sapienza e dove l’intelligenza, o raziocinio?

LA PREZIOSITA DELLA SAPIENZA

La sapienza consiste nella capacità del discernere, comprendere, apprendere, distinguere e comportarsi, secondo le più strette norme di equità giustizia ed amore. Inoltre, rappresenta la conoscenza, o distinzione, del bene da adottare e del male da rifuggere. Benché generalmente molte persone presumono d’incamminarsi nella via che conduce alla Sapienza, ben poche la conoscono; molte credono di seguirla ed il numero di coloro che vi s’incamminano risulta ben esiguo: poiché questo mondo malvagio è pervaso ed invaso dell’egoismo, il quale distoglie, prepotentemente la maggior parte degli uomini dalla via retta della Sapienza. Di conseguenza, per noi Cristiani, è di somma importanza i precetti divini per poterci incamminare nella via che conduce all’acquisizione della sapienza, cui si pervienve, con l’aiuto di Dio, e con la conoscenza della Sua Parola.

Gran parte dell’umanità è talmente soggiocata dal più gretto egoismo [base fontamentale delle svariate azioni malvagie] da non riuscire ad immaginare quanta gioia potrebbe ottenere dall’acquisizione della Sapienza, concessa da Dio, allorché riconosce d’essersene resi degni. Ciò stante, solo gli umili, i poveri di spirito, apprezzano ‘la via stretta che mena alla vita eterna’ ed alla partecipazione del Regno di Cristo, poiché acquisiscono ‘la Sapienza che viene dall’Alto, in quanto la cercano e sanno—tramite lo Spirito Santo—che essa è loro concessa per i meriti del glorificato Gesù: l’impareggiabile Maestro e nostro Consigliere.

Nel descrivere lo sviluppo delle Nuove Creature, divenute, poi, Figliuoli di Dio, l’apostolo Paolo (Col. 1:9-19), scrrive: “Dal giorno che abbiamo udito parlare della vostra fede in Cristo…non cessiamo di pregare per voi e di domandare che siate ripieni della profonda conoscenza della Volontà di Dio, in ogni sapienza ed intelligenza Spirituale, affinche camminiate in modo degno del Signore.”

Come già abbiamo indicato, color che sono umili e poveri di Spirito, riceveranno insegnamenti dal Signore e—mediante la Parola Sua—otterranno una perfetta istruzione, come c’è detto da Mosè (Deuteronomio 4:5), in questi termini: “Ecco, io vi ho insegnato Leggi e prescrizioni, come l’Eterno, l’Iddio mio, mi ha ordinato, affinché le mettiate in pratica, nel Paese, nel quale state per entrare e prenderne possesso.”

LA SAPIENZA TERRENA CONTRAPPOSTA A QUELLA CELESTE

Giacomo, scrivendo alle 12 tribù nella dispersione (3:17), spiega loro: “la Sapienza che viene dall’Altro, prima è pura, poi, pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, né ipocrisia.”

Alla precitata Sapienza celeste, l’apostolo Paolo contrappone: “…la sapienza di questo mondo—che—è pazzia presso Dio.” (I Cor. 3:19) Infatti, Giacomo, nel paragrafo precedente, ci ha indicate le supreme qualità della Sapienza celeste e, nei versetti 14-16 dello stesso capitolo, ci dice: “…se avete nel cuor vostro dell’invidia amara ed uno spirito di contenzione, non vi gloriate e non mentite contro la Verità, questa non è la Sapienza che scende dall’Alto, anzi, essa è terrena, carnale, diabolica.” Difatti, è pervasa dall’egoismo, dall’orgoglio e dalla falsità, mentre—ripetiamo—la Celeste si fonda nella riverenza al Signore e neill’adempitenza della Sua Volontà.

Non v’è traccia alcuna, nella sapienza mondana che sappia—o possa—contribuire a svelarci “le cose pronde di Dio…” (I Cor. 2:1-5)—e l’apostolo Paolo, scrisse in proposito: “…io, fratelli, non venni ad annunziarvi la testimonianza di Dio con eccellenza di parola, o di sapienza; perché mi proposi non sapere, altro, fra voi fuorché Gesù Cristo e Lui crocifisso. Ed io sono stato presso di voi, con debolezza, e con timore e tremore; e la mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza umana, ma in dimostrazione di Spirito e Potenza, affinché la vostra fede fosse fondata non su la sapienza degli uomini, ma su la Potenza di Dio. Nondimeno, fra quelli che sono maturi, noi esponiamo una sapienza, che non è di questo secolo, né dei principi d’esso, i quali, stanno per essere annientati, ma esponiamo la Sapienza di Dio, misteriosa ed occulta, che EGLI possedeva [prima che vi fossero i secoli] ed aveva predestinata a nostra gloria, e che niuno dei principi di questo mondo ha conosciuta; perché, se l’avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. Ma, come è scritto: “Le cose che occhio non ha vedute e che orecchio non ha udite, e che non son salite in cuor d’uomo, sono quelle che Iddio ha preparate, per color che lo amano.”—I Cor. 2:1-9

CRISTO E LA NOSTRA SAPIENZA…

E, per possederla, voi [i veri seguaci della orme di Gesù] dovete pervenire alla vera conoscenza del mistero di Dio: cioè quello di Cristo, nel quale tutti i tesori della Sapienza e della conoscenza, sono nascosti.”—Colessesi 2:2-3

In qual maniera, Gesù divenne, per noi, il mirabile strumento di conoscenza ed il datore d’intendimento? Egli, a 30 anni [età, in cui, per norme della Legge Giudaica, erano concessi ai cittadini i diritti ed i doveri, che gli competevano] e, “cominciò ad insegnare …(Luca 3:23) ed a consacrare sé stesso a compiere la volontà del Padre Suo, iniziando una vita permeata d’ogni sacrificio nella estrinsecazione del suo ministerio, terminato sul Calvario. Egli fu sempre ossequiente alla Volontà del Padre suo, sottoponendosi ad ogni sofferenza e visse, nel “podere detto Getsemani” ore d’angoscia, in attesa della morte alla quale si sottoponeva per riscattare l’umanità, quale era—ed è—il mandato conferitogli da Dio, per il quale Egli venne su la terra. E Dio, al proprio tempo, lo risuscitò dalla morte ‘e lo fece sedere, all propria destra, nei luoghi celesti, al di sopra di ogni Principato ed autorità e potestrà e signoria, e d’ogni altro nome, che si nomina, non solo in questo mondo, ma, anche in quello a venire.’—Efesini 1:20,21

Nulla e niuna sapienza mondana può avere un’ idea delle cose profonde di Dio, “ma l’apostolo Paolo le esprime (I Cor. 2:6-9) magistralmente, scrivendo: “Fra quelli che sono maturi [nella loro consacrazione] noi esponiamo una sapienza, però non di questo secolo, nè dei principii di questo secolo, che stanno per essere annientati, ma esponiamo la sapienza di Dio, misteriosa ed occulta, e che nessuno dei principi di questo mondo ha conosciuta; perché se l’avesssero conosciuta, non avrebbro crocifisso il Signore della gloria. Ma, com’è scritto: le cose che occhio non ha vedute e che orecchio non ha udite, e che non son salite in cuor d’uomo, sono quelle che Iddio he preparate, per coloro che lo amano.”

L’INFINITA MOLTEPLICITA ESTRINSECATIVA DELLA SAPIENZA DI DIO

L’apostolo Paolo, nel scrivere agli, Efesini 3:9-10, in riferimento al Piano di Dio, spiega loro “quale esso sia, riguardo al mistero che è stato, sin dalle più remote età, in LUI (il Creatore di tutte le cose) affinchè, nel tempo presente, ai principati ed alle potestà, nei luoghi celesti, sia dato a conoscere, per mezzo della Chiesa la infinitamente varia sapienza di Dio, conforme al proponimento eterno, che Egli ha mandato ad effetto.”

L’espressione “infinitamente varia sapienza di Dio” sta ad indicare, in conciso, le varie e molteplici estrinsecazioni della Sapienza divina, nel su irabile ordine, equilibrio, magnificenza e varietà [eseguite in coordinate varietà di dispensazioni passate, presenti, e future]. Infatti, le Scritture ci rivelano—a milioni—i varii aspetti del PIANO di DIO. Fra essi eccellono: la scelta del Redentore [provato e trovato degno collaboratore del Padre celeste] e la grandiosa Opera di Riconciliazione [definita “AD UNA MENTE” e, cioè: il RISCATTO per TUTTI].

La stessa Sapienza fu—ed è—manifestata, nell’Alta Chiamata celeste nel corso dell’era Evangelica [ancora in fase di compimento}, per completare la Chiesa, la Sposa di Cristo, formata dai membri del Suo Corpo e coeredi della incorruttibile eredità: provati e riscontrati degni di tal alto premio. E, infine, durante l’era Millenaria, si perverrà “al tempo della restaurazione di tutte le cose, di cui Iddio parlò per bocca dei Suoi Santi Profeti, che sono stati sin dal principio.”—Atti 3:21-22

A coloro che si adoperano, con tutto il cuore, a rendersi degni di regnare con Cristo, nel Suo Regno, Giovanni, in (Apoc. 20:6), rivolge queste dolci parole: “Beati e Santi son coloro che partecipano alla Prima Risurrezione. Su loro non ha podestà la morte seconda, ma saranno Sacerdoti di Dio e di Cristo e regneranno con LUI quei mille anni.”




La Vera Luce

(Giovanni 1:1-14)
“In lei era la vita, e la vita era la luce degli uomimi.”
—Giovanni 1:4

RIPORTANDOCI AL LONTANISSIMO passato, al tempo della creazione della terra, quale è descritto nel libro della Genesi, siamo edotti che anche nel tempo addietro il Logos, ossia la Parola, esistette con Dio. “La Parola” è un vocabolo molto appropriato per nostro Signore Gesù allo stato preumano. È la traduzione del termine greco Logos, che, nel preciso senso letterale, significherebbe “Espressione.”

Riferendosi al grande ed onorevole campagno del Padre celeste, nei tempi “prima che il mondo fosse,” è dichiarato ‘il principio della creazione di Dio,’ il quale, nel pieno senso della parola, fu la piena e completa espressione del divino volere, dei propositi, della mente e del carattere.

L’Apostolo scrisse dell’Unigenito che Egli, pur “essendo in forma di Dio”—a somiglianza, cioè, d’Iddio Jehovah (Filippesi 2:6), non pretendè affermare quanto le comuni versioni presentano di lui è, cioè che il Logos non reputò rapina il dichiararsi uguale al Padre, ma, al contrario, egli dimostra come e quanto il Logos fu subordinato a Jehovah, poichè, appounto, la subordinazione, l’obbedienza e l’umiltà lo indussero a farsi carne e divenire ‘l’Uomo, Cristo Gesù.’ Oltre a ciò—ed in armonia all’obbedienza ed umiltà verso il Padre, egli le osservò fino alla morte e, per dippiù, la morte sulla croce. Per tali meriti il Padre—Jehovah Iddio—per la risurrezione lo ha sovranamente innalzato alla natura divina, al disopra degli angeli, principati e podestrà, e al disopra di agni altro nome che si nomina: ad una posizione più alta di qualsiasi altra; più alta della sua condizione preumana e, cioè, prossimo al Padre stesso ed associato con Lui nel Suo trono, e nella sua gloria, potenza e natura.

Per quanto le Scritture non delineano, in niun passaggio, l’Unigenito e gradito figliuolo di Dio alla pari di Dio—Jehovah—nè durante il tempo in cui fu il Logos, prima di farsi carne, e nemmeno in quello che fu “Cristo Gesù—ci assicurano però, che ora, è, nella sua supremamente innalzata posizione, ancora il Logos e partecipe della natura divina e della gloria e di tutte le podestà in cielo e in terra. Siamo anche istruiti onde ‘tutti onorino il Figliuolo come onorano il Padre.”—Giov. 5:23

Comunque, la nostra lezione presenta il nostro Redentore nella sua preumana condizione—spirituale—superiore a quella degli angeli, e ci assicura che tutte le cose furono fatte da Lui e, senza di lui “neppure una delle cose fatte è stata fatta.”

Da ciò possiamo rilevare che, in tutta l’opera creativa di Jehovah, il Logos ebbe la preferenza—“onde in ogni cosa abbia il primato.”—Colossesi 1:18

“Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola (Logos) era un Dio. Essa era nel principio con Dio.”

Niuno degli scolari greci contesterebbe questa traduzione, perché essa pone in rilievo tutte le ragioni, per le quali non possono esservi contraddizioni, circa la primiera condizione, che esistette fra il Padre ed il Figliuolo.

Infatti, l’espressione “Padre” e ‘Figliuolo’ stanno ad indicare che il Figliuolo è ‘proceduto e venne da Dio.’ (Giov. 8:47) Differentemente i termini Padre e figluolo perderebbero il loro significato. Un figliuolo non può essere padre di se stesso, né può pretendersi che un figliuolo manchi di un origine, poiché nel termine ‘figlio’ s’identifica una vita, un’esistenza, un essere che ha un principio e—logicamente—derivante da un padre.

Quando le Scritture danno la loro ispirata interpetrazione, la fondano su la massima consistenza ed armoniosa ragionevolezza. Ma, quando delle false idee e dottrine deformano i concetti, la luce della verità si transforma in tenebre e tutte le altre vedute, che le sono connesse divengono un mistero—non il mistero di Dio, ma quello dell’iniquità, delle tenebre e degli errori.

“In lei era la vita.” Così è messo in rilievo il distacco esistente fra nostro Signore Gesù Cristo e l’umana famiglia. Nessuno altro uomo, oltre l’uomo Cristo Gesù, ebbe vita. Tutta la razza adamica, l’intera famiglia umana, eccetto Gesù, ha vissuto sotto la condanna di morte, dal giorno in cui il padre Adamo disubidì e perdette il privilegio della vita, che originalmente gli era stata concessa. Egli fu in grado di dare solo una condizione morente alla sua posterità. Fu la vita in Cristo—l’essere separato dai peccatori, santo ed immacolato, costituito Salvatore dal Padre e da Lui inviato, che rappresentò un faro di luce e speranza per la nostra razza. Se, prima o dopo di Gesù, farsi uomo, avesse costituito un demerito ai suoi diritti alla vita, il nostro faro di luce si sarebbe spento; ma, possedendo i diritti alla vita, egli, secondo il programma del Padre, he dato i diritti di vita a noi—prezzo corrispondente alla vita di Adamo, che demeritò il privilegio ottenuto dal Padre, a causa del suo peccato—e a tutti coloro che hanno condivisa la pena della morte adamica.

Gesù, avendoci comprati col suo prezioso sangue divenne, non solo la luce e la speranza di tutta l’umanità, ma anche il donatore di vita. Sia, perciò, lodato Iddio; per la provvidenza di luce e vita concessa al mondo morente. E, benché è vero che la luce splendette, nelle tenebre dell’umanità depravata e corrotta, senza essere generalmente compresa ed apprezzata; purtuttavia è altrettanto vero che fu ed è “la vera (l’antitipica e non falsa) luce che illumina tutti gli uomini del mondo.” Perciò, non importa se questa vera luce non fu né compresa né apprezzata dai Giudei, in quei giorni in cui erano considerati la ‘casa sua’; non è compresa nemmeno oggi dall’umanità, in generale.

L’importante è che gli è la vera luce e che, al tempo designato, a norma del Piano di Dio,--di cui egli (Gesù) ne è il centro, l’espressione, il Logos—illuminerà ogni uomo che è nato nel mondo. Né permetterà che alcuno languisca nelle tenebre, o fallisca di ottenere la vita eterna, per mancanza di conoscenza: poiché, a tempo debito, gli occhi dei ciechi saranno aperti, gli orecchi dei sordi sturati, ed i ciechi vedranno fuori dell’oscurità la grande luce che Iddio irradierà, per essere il Principe e Salvatore di tutti coloro che vanno al Padre per mezzo di Lui.—Isaia 35:5; Giov. 8:12 e 14:6

È vero che solo una minoranza ha visto la luce, ma a causa che ancora “le temebre coprono la terra e una fitta oscurità avvolge i popoli.—Isaia 60:2

Noi, però, siamo in attesa del glorioso giorno millenniale, nel quale questa gran luce, splenderà come il sole nel regno el Padre, ed in cui i suoi fedeli, il suo tesoro riposto, gli eletti—purgati durante questi tempi tenebrosi—saranno glorificati insieme a lui ed a lui associati nella grande opera d’illuminare l’umanità. Essi, progenie d’Abrahamo, benediranno tutte le famiglie della terra illuminandole con la conoscenza della Verità, a cui susseguiranno le opportunità di armonia con Dio e la vita eterna.—Matteo 13:43; Romani 8:17; Galati 3:16, 29; Genesi 22:17-18

Comunque, da questi beneficii non saranno esentati coloro che al presente captano una parte di questa grande luce. Beati gli occhi loro, che vedono e gli orecchi loro, che sentono; ma avranno anche delle gravi responsbilità e battiture, se non camminano secondo la luce che hanno ricevuta.—Luca 12:47-48)

Codesti beati, che sono stati chiamati durante questi tempi, in cui le fitte tenebre coprono i popoli, appartengono, secondo la denominazione delle Scritture, all’ “alta chiamata” o, ‘chiamata celeste’—non chiamati solo per assere restaurati alla perfetta natura umana ed ai privilegi e benedizioni perduti a causa del peccato; ma ad una speciale compagnia con il Logos stesso—alla quale è concesso di essere partecipe alla sua luce e condividere con lui l’opera futura nell’illuminare e benedire il mondo. Costoro, in un senso speciale, sono i Figliuoli di Dio—ma anche di Adamo nel loro stato d’innocenza. (Luca 3:38) Costoro sono invitati a divenire figliuoli di Dio in un piano di figliolanza molto più alto dell’angelica e cioé, eredi di Dio e coeredi con il Logos alla natura divina, la quale è molto più alta dell’angelica e di altre nature.—2 Pietro 1:4; Romani 8:17

La podestà di divenire figliuoli di Dio non è concessa ai peccatori, ma ai giustificati—coloro i quali sono stati giustificati per fede, credenti in Gesù. Costoro divengono rigenerati, non alla maniera e nello stesso ordine in cui i figliuoli della carne sono rigenerati—non per sangue, poiché la volontà della carne non ha nulla a vedere con questo rigeneramento, com’è usuale nel rigeramento del carattere ed in quello secondo la carne.

Nell’essere rigenerati dallo spirito e verità, benché la verità possa essere presentata loro a mezzo di agenti umani, il regeneramento non può avvenire per volontà d’uomo, ma solo da Dio, e proporzionalmente alla volontà naturale se ignorata e rigettata, e sostituita da quella di Dio a cui solo può ubbidire. L’apostolo Giacomo (1:18) spiega, in questi teremini, tale rigeneramento; “Egli ci ha di sua volontà generati, mediante la parola di verità, affinchè siamo, in certo qual modo, le primizie delle sue creature, Queste ‘nuove creature’ in Cristo Gesù, figliuoli di Dio e rispettosi coeredi di Cristo, hanno da attendersi di ricevere lo spirito del Padre in tanta pienezza (per mezzo della sua parola di grazia) da potere volenterosamente soffrire le difficoltà per la sua causa e la sua verità, e al pari dello stesso Logos essere disposti a dare la vita per i fratelli, in armonia all’ordinamento divino del presente giorno, quale sacrificio vivente santo, accettevole a Dio per Cristo Gesù. Ed è solo a tal condizione che possono divenire coeredi di Cristo nel Regno, come l’Apostolo c’insegna scrivendo: ‘se pur soffriamo con lui, affinché siamo anche glorificati con lui.”—Romani 8:17; Giovanni 1:11, 12

Giovanni I, il quattordicesimo versetto ritornando al soggetto di cui al versetto 5, ripete la narrazione sotto un altro puntodi vista: “E la Parola è stata fatta carne ed ha abitato per un tempo fra noi.” Ciò non sta ad insegnare la così detta dottrina dell’incarnazione, la quale intende significare che l’Unigenito del Padre, il Logos, venne quale essere spirituale ad abitare in un corpo umano per un certo tempo, dal quale fu di nuovo liberato nel tempo in cui il corpo fu crocifisso. Questa veduta dell’incarnazione del Logos rende molti passi delle Scritture privi di senso, offuscati a tali da ottenebrare le menti di molti studiosi biblici. Dal punto di vista mentovato essi opinano che nostro Signore Gesù fu un essere spirituale né mai cessò d’essere tale, né fu un uomo nel vero senso della parola, ma parve d’esserlo, poiché, in realtà, non era un essere umano. Sotto condesto aspetto, allora, le preghiere di nostro Signore al Padre, la tentazione che ricevette nel deserto, le sue lacrime ed il suo grido, nel momento della sua morte, si estrinsecarono per apparire quale un abile attore. Inoltre, tale erronea opinione—nella sua falsità—fa apparire Gesù tanto superiore alle condizioni umane da non poter essere provato, tentato, sofferente ecc. E che, in realta, non morì, ma parve che morisse: poiché, al momento che il corpo carnale fu crocifisso, il Logos uscì fuori di esso e divenne un silenzioso ed invisible spettaore della tragedia del Calvario.

Ma i tanti sacrifici di tori e di bechi che Iddio ordinò di fare annualmente al popolo d’Israele e che continuarono per sedici secoli, avanti al sacrificio del nostro Redentore, non furono fatti solo per un’apparenza.

La sentenza di morte inflitta ad Adamo fu una realtà, una vera pena di morte, e la redenzione che ci libera dalla morte e dal peccato non fu un meno vero sacrificio, poiché nostro Signore Gesù—l’uomo, Cristo Gesù—diede se stesso—la sua vita—a nostro favore.—I Timoteo 2:5-6

L’Apostolo ci assicura che egli, ricco, si fece povero per noi. Egli non pretese di essere povero solo col porsi dentro ad un corpo di più bassa natura, ma si fece povero in quanto lasciò la gloria e gli onoori di una più alta natura ed umiliò se stesso nel rivestire l’umana natura—non quella decaduta, in seguito al peccato—ma l’umana natura perfetta, libera dalle colpe, dai peccati e dalla morte.

Quanto affermiamo è peerfettatmente d’accordo con le Scritture che andiamo esaminando. “Egli fu fatto carne:—letteralmente—indica che ‘divenne carne’ e questo abbassamento ed umiltà le rese idoneo ad offrire se stesso, quale nostro Redentore e qualificato ad offrire a Dio il prezzo del riscatto per la trasgressione dell’uomo; come difatti è scritto: ‘Per mezzo d’un uomo è venuta la morte, così anche per mezzo d’un uomo è venuta la risurrezione dei morti.’ (Corinzi 15:21) Fu un uomo che peccò e fu sottoposto alla sentenza di morte e, perciò, né la vita d’angeli, arcangeli o qualsiasi altra, all’infuori di quella di un uomo, avrebbe potuto rappresentare il ‘prezzo corrispondente’ per riscattare Adamo e la sua posterità dalla sentenza di morte. I sacrifici di animali inferiori (tori, capri, agnelli) non potevano giammai togliere il peccato, poiché,—pur essendo senza peccato ed innocenti—non erano identici, in natura, all’uomo peccatore e, quindi, non potevano essere accettati dalla divina giustizia come prezzo di discatto per l’uomo.

Il logos non dovette morire per trasformare la sua natura spiritual a quella umana; però “l’uomo, Cristo Gesù” morì, per dare, in pieno, e nel vero senso della parola, la sua vita. Nulla fu trattenuto. ‘Egli diede tutto ciò che aveva’ (Matteo 13:44—46): la sua vita, la vita dell’uomo Cristo Gesù, che era stata antecedentemente la vita del Logos. La sua vita finì. ‘Egli diede la sua vita’ (il suo essere) alla morte; Egli diede l’anima sua (il suo essere senziente) in offerta per il peccato. Ciò è attestato anche da Gesù stesso, allorquando, dopo la sua risurrezione, dichiarò: ‘Io sono il primo e l’ultimo, il Vivente e fui morto, ma ecco son vivente per i secoli dei secoli.’ (Apoc. 1:18) Cristo non morrà mai più la morte non ha dominio su di lui.

“E noi abbiamo contemplata la sua gloria”—dice Giovanni—la sua grandezza, la sua perfezione, la sua nobiltà splendé chiarissima a coloro che ebbero occhi per vederla (che, cioè, non furono accecati dal principe di questo mondo). Queste gloriose condizioni dell’uomo Cristo Gesù provarono a pieno che Egli non fu della peccaminosa razza di Adamo, ma un’eccezione d’infra tutta l’umanità, poichè, come è messo in evidenza, Egli fu generato dal Padre celeste: in quanto fu pieno di ‘grazia e verità.’ ‘Come egli fu, tal siamo anche noi in questo mondo’—disse l’Apostolo—e, benché, per natura siamo peccatori e figli dell’ira lo stesso che gli altri, pure per grazia siamo stati rigenerato ad una nuova natura e questa—illuminante, purificante santificante grazia di Dio, operante nei nostri cuori—causa gradualmente, la nostra trasformazione, cambiandoci ‘di gloria in gloria’ e conducendoci sempre più vicino alla somiglianza del diletto Figliuolo di Dio, il nostro Salvatore e Signore, a cui, insieme con Iddio Padre, sia onore e gloria e ringraziamenti in eterno per ‘una così grande salvezza, la quale, dopo essere stata prima annunziata, dal Signore, ci è stata confermata da quelli che l’avevano udidta.’—Ebrei 2:3



Associazione Studenti Biblici Aurora