QUANDO L’UOMO MUORE

Introduzione

Chi è l’uomo, da dove viene, quale sarà il suo destino futuro? Gli saranno riservati dalla giustizia di Dio i tormenti eterni in un ipotetico inferno, un purgatorio o un luogo di felicità eterna?

Noi tutti conosciamo delle persone buone e generose le quali, pur non professando alcuna fede religiosa, esercitano le loro attività con rigidi principi di onestà e sono pronte a sorreggere coloro che si trovano nelle difficoltà: di conseguenza, se non posseggono i requisiti per andare direttamente al cielo, non possono, d’altra parte, essere considerate degne della perdizione eterna. Molte altre persone poi, pur riconoscendo sinceramente di non osservare in modo rigoroso i principi della giustizia e dell’amore divini, non sono tuttavia dei cattivi cristiani. Ora, che ne sarà di queste persone?

Vi sono centinaia di milioni di uomini, morti senza aver sentito parlare di Gesù, «unico nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per il quale ci convenga essere salvati.» (Atti 4: 12). Cosa ne sarà anche di questi?

Sarà bene che i lettori meditino su tali domande, poiché la falce inesorabile della morte va intorno a noi tutti.

Pur non essendo possibile scampare dalla morte, analizziamo, per nostra conoscenza ed edificazione, lo stato o la condizione dei morti, ignorando in tale esame completamente le teorie umane, le tradizioni dogmatiche, e ritenendo fermamente le dichiarazioni della Parola di Dio. Questo compito viene facilitato dal fatto che tutti i cristiani accettano l’autorità della Scrittura, la quale esamina e risolve quesiti in primo piano, quali: la vita, la morte e l’aldilà.

Nella Bibbia si trovano insegnamenti tali da suscitare il terrore di alcuni uomini per i tormenti eterni dell’inferno, in mezzo a fiamme e fuoco, fra demoni incombustibili? Possiamo avere tutte le informazioni utili ed essere ragguagliati su questo importantissimo soggetto; il Sacro Testo è la fonte di tutte le verità.

L’inferno

La versione ebraica dell’Antico Testamento usa 64 volte la parola «sheol» che, nella versione di Monsignor Martini, ad esempio, appare 40 volte per «inferno», 17 volte per «sepolcro», 1 volta per «morte». Dovrebbe essere chiaro ad ognuno che la parola «sheol» nel corrispettivo italiano dovrebbe avere sempre lo stesso significato e non una volta inferno ed un’altra sepolcro o morte.

La parola «sheol» appare per la prima volta in Genesi 37: 35, dove si parla del patriarca Giacobbe, afflitto oltremodo per la perdita del suo figlio Giuseppe, da lui creduto vittima di un animale feroce. Questa notizia spezzò il cuore del vecchio che espresse il suo grande dolore con queste parole: «Certo io scenderò con cordoglio al mio figlio, nel sepolcro». Giacobbe si servì in questa circostanza della parola «sheol» e disse che il suo dolore l’avrebbe condotto, presso suo figlio. Giacobbe era un fedele servo di Dio ed anche il suo figliuolo Giuseppe. Perchè dunque il destino di queste due creature sarebbe stato un inferno di tormenti eterni? Non erano tutti e due buoni abbastanza da non meritare questo supplizio? Ma a quale inferno alludeva Giacobbe?

La preghiera di Giobbe

Fermiamo la nostra meditazione su Giobbe. Egli era un uomo di Dio e la Scrittura afferma che era integro e retto (Giobbe 1: 8); un uomo talmente santo che sembrava dover andare immediatamente in cielo dopo la sua morte piuttosto che al tradizionale inferno dei tormenti eterni. Ma Giobbe non si aspettava di andare in cielo.

Essendo, dunque, Giobbe reputato un uomo giusto, Dio permise che molte sventure e sofferenze si abbattessero su di lui. Tutti abbiamo sentito parlare o letto della sua pazienza, che gli permise di sopportare le prove più difficili. (Giacomo 5: 11). Ma venne il momento in cui egli percepì che la morte era da preferirsi ai mali; che incessanti si abbattevano su di lui, ed alle parole inopportune dei suoi amici, parenti e della sua stessa moglie. Allora, dal fondo delle sue miserie, si indirizzò a Dio e lo pregò in questi termini: «Oh! volessi tu nascondermi nel soggiorno dei morti, tenermi occultato finché l’ira tua sia passata» (14: 13). Giobbe si servì della parola «sheol», tradotta qui per «soggiorno dei morti». E’ questo dunque l’inferno della Bibbia? Ci troviamo di fronte all’esempio di un uomo sofferente moralmente e fisicamente fino all’agonia! Egli aveva perduto i suoi figli, il suo bestiame grande e minuto, il suo corpo era ricoperto di ulcere maligne e perfino la sua donna si era rivoltata contro di lui. Ebbene, in tale condizione Giobbe non ha chiesto a Dio di gettarlo in un luogo di sofferenze, senza alcuna speranza di uscita.

Perchè Giobbe sollecitava Iddio di mandarlo all’inferno? Perchè egli sapeva che l’inferno della Bibbia (cioè la tomba) era, ed è, uno stato di quiete, di riposo, di silenzio.

Salomone, l’uomo più saggio dell’Antico Testamento, scrittore ispirato da Dio, a proposito dello «sheol» o «inferno» afferma che in quel luogo non sussiste «nè opera, nè ragione, nè conoscimento, nè sapienza alcuna.» (Ecclesiaste 9: 10). Giobbe non ignorava tutto ciò: da qui la sua preghiera a Dio di lasciarlo morire e mandarlo nello «sheol» od «inferno». Egli era stanco di soffrire e desiderava vedere un termine a queste sofferenze. Sapendo che la morte sarebbe stata per lui una liberazione, giunse persino ad invocarla, esprimendo rammarico di non essere morto il giorno stesso in cui fu concepito e nacque: «Perchè non morii nel seno di mia madre? Perchè non spirai appena uscito dalle sue viscere? Ora mi giacerei tranquillo, dormirei». (Giobbe 3: 11-13).

Giobbe aspirava, dunque, a quella condizione di tranquillità e di riposo, nell’incoscienza, con «i re ed i consiglieri della terra, laggiù ci sono piccoli e grandi, il servo e lo schiavo è libero dal suo signore». In questo stato di morte «gli empi cessano di travagliare altrui e quivi si riposano gli stanchi.» (Giobbe3: 13-19).

Quale verità sorprendente! Così, dunque, alla morte, i re, i principi, i giudici, i piccoli, i grandi, i cattivi, gli stanchi, tutti vanno in un medesimo luogo, un luogo di tranquillità e di riposo, di sonno e di incoscienza. Nulla di strano, quindi, che Giobbe, dimenticato da sua moglie e dai suoi amici, corroso da ulcere, desiderasse discendere in questo luogo.

Questa concezione dell’inferno differisce — come si rileva chiaramente — da quella che oggi molti hanno. Ma vi è di più: non soltanto Giobbe desiderava andare all’inferno, ma sperava di esserne tratto fuori. Infatti, egli esclamava: «Oh! Volessi tu nascondermi nello Sceol, occultami finché l’ira tua sia passata, fissami un termine, e ricordati di me … mi chiameresti ed io ti risponderei tu avresti un grande desiderio per l’opera delle tue mani?» (Giobbe 14: 13-15).

Così Giobbe non pensava di rimanere nell’inferno della

Bibbia se non fino a quando l’ira di Dio fosse passata. E che voleva dire, parlando dell’ira di Dio? L’apostolo Paolo vi fa allusione, scrivendo che questa viene riversata dal cielo contro tutte le empietà. (Romani 1:18). Questa collera non è altro che la condanna del peccato del mondo. Lo stesso apostolo dichiara altrove: La condanna si è estesa a tutti gli uomini.» (Romani 5: 18). Questa condanna non è altro che la morte, manifestazione dell’ira e della riprovazione divina contro un mondo immerso sino in fondo nel male. Rileviamo ancora che la speranza di Giobbe di essere liberato dall’inferno, dopo la manifestazione dell’ira di Dio, coincide con le parole di Gesù, riportate in Giovanni (5:28): «L’ora viene che tutti coloro che sono nei sepolcri, ascolteranno la sua voce ed usciranno».

Ed ecco la nostra conclusione sul soggetto di cui sopra: confrontando la credenza tradizionale dell’inferno con le concezioni di Giobbe, la troviamo errata sotto tre aspetti principali:

Non è un luogo dove Dio esercita una qualsiasi vendetta contro gli esseri umani, ma uno stato in cui tanto i buoni, quanto i cattivi, sono preservati dai mali che colpiscono il mondo dei viventi.

E’ una condizione di incoscienza, di riposo e non di tormenti.

Coloro che vanno all’inferno (cioè nella tomba), secondo la Bibbia, non sono condannati a rimanervi eternamente. Al contrario, essi usciranno ed avranno l’opportunità di vivere di nuovo sulla terra durante un tempo in cui il peccato e la morte non esisteranno più.

Il salario del peccato

La Bibbia insegna che l’uomo fu fatto superiore a tutta la creazione animale; ad immagine e somiglianza del suo Creatore; che possedette la vita ad un grado perfetto nell’Eden e che l’avrebbe potuto conservare eternamente mediante l’ubbidienza completa. Purtroppo, egli mancò e cadde sotto condanna di morte, già pronunciata in anticipo: «Nel giorno in cui tu ne mangerai per certo tu morrai.» (Genesi 2: 17). Così, padre Adamo, dopo novecentotrent’anni, trascorsi in condizione di morente, durante i quali generò figli e figlie, morì. In questa condanna di morte fu coinvolta tutta l’umanità generata da lui.

L’errore grossolano in cui cadono i sostenitori di un inferno di tormenti eterni, poggia su una pretesa assurda e del tutto contraria alle esplicite dichiarazioni della Parola di Dio. Costoro, infatti, pretendono che le pene eterne siano il castigo del così detto peccato originale, quando le Scritture molto chiaramente insegnano che il «salario del peccato è la morte» e non le pene eterne. Se noi esaminiamo il racconto della Genesi sulla caduta dell’uomo e la sentenza relativa all’Eterno, non troviamo il minimo accenno ad un castigo che vada oltre la morte: «Tu sei polvere, polvere ed in polvere tornerai.» Come mai, dunque, l’Avversario ha potuto ingannare in modo così clamoroso i nostri padri durante i secoli tenebrosi del medioevo, inculcando loro «dottrine diaboliche» come un inferno di fuoco?

L’Apostolo Paolo, il quale scrisse più della metà del Nuovo Testamento e dichiarò di « non aver trascurato di annunziare tutto il consiglio di Dio » (Fatti 20 : 27), non esprime una sola parola nei riguardi dei tormenti eterni, anzi, parlando del peccato e del castigo relativo, così si esprime: « Perciò, siccome per un uomo il peccato è entrato nel mondo e per il peccato la morte, ed in tal modo la morte è trapassata a tutti gli uomini per esso uomo nel quale tutti hanno peccato, così egli è in questo» (Romani 5: 12).

Perciò non le pene eterne, ma la morte fu riservata all’umanità a causa di Adamo. Se qualcuno obiettasse che questa non sarebbe un castigo sufficiente per il peccato, non avremo che da richiamarlo alla realtà dei fatti quotidiani. Con la disubbidienza, Adamo perdette il paradiso terrestre e la comunione con Dio, incorrendo nelle malattie, nei dolori, nella morte. Tutta l’umanità, fu privata di queste benedizioni, ed avendo ricevuto in retaggio debolezza mentale, morale, fisica, costituisce, secondo la dichiarazione apostolica, la creazione che «geme e travaglia.» (Romani 8: 18-23). Osserviamo la situazione! Un numero considerevole di uomini «nati nel peccato e formati nell’iniquità.» (Salmo 51:5). Poche, brevi ore, o giorni, od anni di dolori e travagli ed quindi: il letto di morte! Questo cammino, dalla culla al sepolcro, è la sintesi di una tragedia dolorosa che spezza il cuore. Tutto questo per una trasgressione non propria! Qual’è quell’uomo dalla mente sana che vorrà sostenere che il castigo è stato insufficiente e che la Giustizia Divina potrebbe e dovrebbe domandare di più, che quella moltitudine immensa dovrebbe, dopo la morte, essere posta in una condizione di infelicità e di tormento eterno? La persona che ragionasse in tal modo mostrerebbe segni palesi di squilibrio mentale.

Un giusto castigo

D’altronde, nessuno creda che la pena di morte inflitta a causa della trasgressione fu un castigo ingiusto e troppo severo. Iddio avrebbe potuto sopprimere istantaneamente Adamo. Ma avremmo noi preferito questo? Certamente no. La vita è dolce anche fra i dolori e le pene. A questo si aggiunga il fatto che le esperienze attuali ci saranno particolarmente utili quando il Signore ci concederà il privilegio di una ulteriore prova individuale.

La nostra razza sarebbe stata senza speranza di vita futura se non fosse intervenuta la compassione divina mediante l’opera di redenzione. La morte del Signor nostro Gesù ci fornisce un’altra prova evidente della pena richiesta dalla giustizia di Dio, quale pagamento per il peccato. Se il castigo riservato all’uomo fosse consistito nelle pene eterne, il nostro riscatto avrebbe dovuto costare al Redentore lo stesso prezzo, perchè riscatto dal greco «anti-lutron» significa appunto prezzo corrispondente. Cristo ha pagato con la morte il nostro riscatto, perchè questa era la nostra condanna. Sta scritto, infatti, che «vi è un sol Dio ed un sol Mediatore fra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo, il quale ha dato sè stesso quale prezzo di riscatto per tutti.» (1 Timoteo2: 6; 1 Giovanni 2:2).

Chiunque fosse stato in grado di pagare la penalità di Adamo avrebbe potuto regolare con la giustizia divina la questione dei peccati di tutto il mondo, perchè Adamo solo fu messo alla prova e quindi condannato. Noi, suoi discendenti, fummo coinvolti da lui. Ecco la sapienza e l’amor di Dio, manifestati nel suo piano di salvezza! Iddio condannò l’intero mondo per la trasgressione di un solo uomo affinchè potesse usare misericordia a tutti per l’ubbidienza di un altro uomo: Cristo Gesù. Noi fummo condannati a morte inconsciamente e senza il nostro consenso siamo stati riscattati dalla morte.

Qualcuno potrebbe chiedere: «Siamo noi dunque senza responsabilità? Non vi sarà castigo per noi per le nostre trasgressioni individuali?» Rispondiamo che una giusta ricompensa sarà riservata ad ognuno. Ma il nostro destino eterno potrà essere deciso soltanto da noi stessi, con la nostra personale accettazione o rigetto della grazia di Dio. Le Scritture chiaramente insegnano che ogni peccato, nella proporzione in cui è stato commesso, implicherà una data misura di degradazione, di «battiture», castighi, correzione, al fine di poter riconquistare la posizione perduta. Cosicché, quanto più meschina e malvagia sarà stata una persona, tanto maggiore sarà il suo svantaggio al tempo della risurrezione e tanto maggiori saranno le difficoltà che dovrà vincere per riconquistare quanto è stato perduto in Adamo e riscattato in Cristo.

L’inferno sarà distrutto

Il libro del profeta Osea, cap. 13 vers. 14, mette in evidenza una bella promessa di Dio, riguardante la distruzione dell’inferno. Il lettore non può concepire di colpo l’immenso soffio di speranza, contenuta in questa promessa, per il semplice fatto che la parola ebraica «Sheol» si trova qui tradotta per «sepolcro.» Ma quando si sarà reso conto che si parla del solo ed unico inferno dell’Antico Testamento, allora le parole del profeta rivestiranno un carattere di consolante gioia. Lì si legge: «lo li riscatterò dal sepolcro (Sheol-inferno), io li redimerò dalla morte. O morte io sarò la tua peste. O! Sheol io sarò il tuo sterminio? ».

Abbiamo accertato precedentemente che l’inferno non è altro che la condizione o stato dei morti. D’altra parte, l’apostolo Paolo afferma che Cristo distruggerà la morte. (1 Corinti 15: 26). Anche la dichiarazione apostolica armonizza con la parola del profeta. Entrambe testimoniano che l’intenzione di Dio non è quella di tormentare. La Scrittura non conferma, nel modo più assoluto, l’esistenza di un inferno di tormento preparato per martirizzare le creature umane, ma fa risaltare invece l’idea della bontà del Creatore dell’universo. «Dio è amore!» (1Giovanni 4: 8-16).

L’inferno nel Nuovo Testamento

I testi del Nuovo Testamento, relativi all’inferno, si accordano con quelli dell’Antico. Il Nuovo Testamento è stato scritto in lingua greca ed utilizza tre parole tradotte per «inferno» nelle varie versioni della Bibbia. Una di queste è «tartaros» e si incontra una sola volta in 2 Pietro 2 :4, tradotta per «antri tenebrosi», «catene di caligine», «abissi di tenebre.» Questo passo non discute lo stato dei morti, ragione per cui non analizziamo il suo significato per non allontanarci dal soggetto. La seconda parola è «Geenna» e la terza «Hades».

La parola «Geenna» si riferisce all’antica valle di Hin-nom, che si estendeva fuori dall’antica città di Gerusalemme e serviva di ricettacolo pubblico per le immondizie ed i rifiuti di tutta la città, i quali poi venivano bruciati da un fuoco tenuto costantemente acceso per mezzo dello zolfo. E’ questo l’inferno del Nuovo Testamento. Questo fuoco non esiste più da molto tempo e Gesù sapeva che un giorno il suo significato simbolico sarebbe stato compreso. Certo, Gesù, non volle dire che tutti i malvagi della terra sarebbero stati bruciati dopo la loro morte nella valle di Hinnom, in Gerusalemme, ma piuttosto che questa valle, con i suoi focolai ardenti, serviva ad illustrare la distruzione di ciò che è nocivo. E nocivi saranno gli effetti di tutti coloro che, dopo aver ricevuto la piena opportunità della salvezza e della vita eterna, continueranno volontariamente ad opporsi a Dio ed alle sue giuste leggi.

La valle di Hinnom o Geenna, non rappresenta un luogo di torture, ma un simbolo della distruzione totale. Tale era il pensiero di Gesù quando affermava: «Non temete coloro che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l’anima; ma temete più tosto colui che può far perire l’anima ed il corpo nella Geenna.» (Matteo 10:28). Qui Gesù sottolinea il fatto che il fuoco della Geenna o «fuoco dell’inferno» era immagine della distruzione e non della preservazione dei tormenti. Aggiungiamo questa importantissima riflessione, che tutte le dichiarazioni di Gesù in proposito escludono che questa distruzione avrà luogo prima del suo secondo avvenimento, alla fine dei tempi.

La parola «Hades», ugualmente tradotta per «sepolcro», è il corrispettivo esatto di quella ebraica «Sheol» e rappresenta la condizione della morte. L’apostolo Pietro ricorda un testo dell’Antico Testamento, il Salmo 16: 10, per mettere in evidenza che il corpo di Gesù non poteva essere sottoposto a corruzione nè la sua anima poteva essere lasciata nello «Sheol.» L’apostolo si basa su questa dichiarazione profetica per dimostrare che Gesù era effettivamente risuscitato. (Atti 2:27-31).

Se l’inferno fosse veramente un luogo di tormenti eterni per i malvagi, sarebbe sorprendente che Gesù, il Santo per eccellenza, vi fosse stato accolto. Lungi dal rimanere qui, Gesù, al terzo giorno, risuscitò dai morti e ciò costituisce una prova di più per affermare che, tanto i giusti quanto i malvagi, vanno all’inferno per un tempo determinato e non per sempre.

La chiave dell’inferno

La tradizione popolare pretende che Satana detenga le chiavi dell’inferno, mentre nel libro dell’Apocalisse (1:18,) Gesù, parlando della propria morte e risurrezione, afferma di possedere Lui stesso queste chiavi! Questo particolare è degno di nota, oltre che consolante. Se Gesù possiede le chiavi dell’inferno, c’è modo di sperare per tutti coloro che lì vi dimorano. Questo Gesù che guarì gli ammalati, purificò i lebbrosi, cacciò fuori i demoni, risuscitò i morti, senza chiedere denaro od alcun altro beneficio, si servirà un giorno di queste chiavi per aprire le porte dell’inferno e liberare i suoi prigionieri, tutti i morti. Questa non è una favola, ma l’insegnamento della Bibbia. Tale sarà l’opera gloriosa che Gesù amorevolmente opererà a suo tempo: «la risurrezione dei giusti e degli ingiusti.» (Atti 24 :14).

Quando Gesù afferma di possedere «le chiavi dell’inferno», non vuole evidentemente alludere a delle chiavi letterali. Questa è una espressione figurata. Colui che detiene la chiave di un edificio ha il diritto ed il potere di aprirvi le porte. L’apostolo Paolo, parlando di Gesù, disse che Egli è morto ed è risuscitato ed ha ricevuto il potere e l’autorità sui morti e sui viventi. (Romani 14:9).

Il Cristiano sa che Gesù è il suo Signore e la sua somma autorità, ma l’apostolo Paolo va ancora oltre ed afferma che Gesù ha podestà anche sui morti. Così, avendo Egli «le chiavi dell’inferno», qualsiasi azione o provvedimento futuro in favore dei morti è di sua competenza.

Gesù era l’amico dei poveri e dei derelitti e faceva loro del bene gratuitamente. Possiamo essere certi che le benedizioni in favore dei morti saranno dispensate con lo stesso spirito. Gesù condannò i capi religiosi del suo tempo che esigevano dal popolo del denaro per la rimunerazione dei loro servizi. E’ certo che Egli nemmeno oggi approva coloro che fanno mercimonio di anime umane.

Alla espressione «chiavi dell’inferno» fa riscontro un’altra: «porte dell’inferno.» (Matteo 16:18). Gesù interrogò un giorno i suoi discepoli domandando loro: «Che dicono gli uomini ch’io sia?» Ma non parve completamente soddisfatto della loro risposta, perchè domandò di nuovo: «E voi chi dite ch’io sia?» A questa domanda Pietro prontamente rispose: “Tu sei il Cristo, il Figlio dell’Iddio Vivente”. Allora Gesù disse a Pietro: «Beato te Simone, figlio di Giona, perchè non la carne ed il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli … Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non la potranno vincere.» (Matteo 16: 18).

Nel corso dei secoli si è fatto un uso improprio di queste parole di Gesù a Pietro. Si è preteso che la Chiesa fosse edificata su Pietro. Quando Gesù disse: «Tu sei Pietro» Egli si servì della parola greca: «petros» che significa una «pietra,» un «sasso.» Ma quando il Maestro afferma: «su questa pietra io edificherò la mia Chiesa» egli adopera una parola differente, che lo scrittore sacro riporta con l’espressione greca «petra», che significa un masso di roccia. Gesù oppose al nome di Pietro una verità massiccia, solida, come una roccia, sulla quale la Chiesa sarebbe stata edificata, esprimendosi con un gioco di parole le quali non trovano l’esatto corrispondente nella lingua greca. Qual’è dunque questa roccia su cui la Chiesa di Cristo è edificata? Lo dichiarò lo stesso apostolo Pietro, più tardi, nel corso del suo ministero apostolico, quando scrisse che Cristo, e non lui, «è la pietra angolare dell’edificio.» (1 Pietro 2:4-6). «Tu sei il Cristo» aveva affermato. Questa dichiarazione costituisce il solido fondamento dell’edificio spirituale che è la Chiesa. D’altra parte, l’apostolo Paolo afferma che «nessuno può porre altro fondamento, oltre a quello che è stato posto, cioè Gesù Cristo.» (1 Cor. 3:11). Sotto quale riguardo le porte dell’inferno non prevarranno sulla Chiesa? Noi crediamo di aver sufficientemente dimostrato con riferimenti tratti dal Vecchio Testamento che, sia i buoni che i cattivi vanno all’inferno dopo la morte e che, d’altra parte, l’inferno stesso altro non è se non la condizione di morte, i giusti ed ì cattivi passano al termine della loro vita nello stato di incoscienza, paragonabile ad un sonno tranquillo, un riposo senza sogno. Ora, questo sonno della morte non durerà eternamente. Gesù si servirà delle «chiavi dell’inferno» per aprire le «porte» e liberare i prigionieri.

Ogni vero cristiano, ogni membro della vera Chiesa di Cristo, sarà svegliato e condotto fuori dalla tomba. Le porte dell’inferno non prevarranno, nè riterranno nei legami della morte coloro i quali perverranno — come afferma la Scrittura — alla prima risurrezione. Gesù stesso, essendo risuscitato dai morti, si servirà del potere che Iddio gli ha conferito, risuscitando i suoi fedeli discepoli, di tutta l’era Evangelica. Costoro regneranno con Lui durante «mille anni.» (Apocalisse 20: 4-6).

Tutti quelli che si trovano nell’inferno, trattenutivi dai legami della morte, ritorneranno sulla terra, secondo l’assicurazione contenuta in Apocalisse 20: 7-14 dove vien detto che la morte e l’inferno renderanno i loro morti. La Bibbia, infatti, afferma che tutta l’umanità tornerà a vivere sulla terra per essere istruita, corretta, giudicata, per emendarsi da tutti i misfatti e le trasgressioni volontarie. Non sarà una via facile perchè l’uomo mieterà quello che avrà seminato. La purificazione non consisterà in una sofferenza fisica, ma in una correzione conforme alla giustizia, sotto il rigido governo del Gran Giudice, Cristo. Nessuna distinzione sarà fatta fra i ricchi e poveri, grandi e piccoli.

Tutti ritorneranno sulla terra ed avranno l’opportunità di scegliere la vita eterna sulla terra, dove non vi saranno più malattie, nè cordoglio, nè morte. (Apocalisse 21: l-4).

Il testo sopra citato, per mezzo del quale l’apostolo ispirato annuncia che l’inferno renderà i suoi morti, contiene un’altra promessa mirabile secondo la quale l’inferno della Bibbia, l’unico esistente, sarà distrutto. Giovanni vide che «la morte e l’inferno furono gettati nello stagno di fuoco.» (Apocalisse 20:14). Il fuoco è uno degli elementi più distruttivi, più radicali, dei tanti finora conosciuti. Iddio se ne serve come di un simbolo per illustrare la distruzione completa e definitiva. Infatti il capitolo successivo dell’Apocalisse (21 :4) dichiara che la morte non esisterà più. Tutto ciò concorda con la promessa dell’Antico Testamento, contenuta nel libro del profeta Osea (13:4) già esaminata ed in cui vien detto che è intenzione di Dio distruggere lo «Sheol.»

Questa è la testimonianza della Bibbia sull’inferno ed essa ci consente di concludere che nessun altro inferno di tormenti esiste in alcun luogo dell’universo.

Genesi dell’errore

L’origine della teoria dei tormenti eterni deve essere ricercata innanzitutto nella prima menzogna che Satana insinuò a nostra madre Eva, per mezzo del «serpente.» Iddio comandò ai nostri progenitori di non mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male poiché questa trasgressione avrebbe comportato la morte. Satana, invece, negò questa dichiarazione divina, insinuando: «Voi non morrete affatto.» (Genesi 3:4).

La Parola di Dio afferma che, praticamente, il Diavolo ha indotto in errore il mondo intero. Infatti dappertutto si riscontra il principio essenziale della menzogna originale, la quale rivive oggi, se non sotto lo stesso aspetto, almeno con la stessa mistificazione in tutte le teorie comuni, sia alle religioni pagane che a quella cristiana in genere, sul soggetto della vita eterna. Tutte le religioni insegnano che la morte non è una realtà, ma un passaggio da uno stadio di vita ad un altro superiore e più perfetto. Dappertutto si presta fede alla grande menzogna: «Voi non morrete affatto». Si ammette la morte del corpo perchè non è possibile negare l’evidenza, ma si pretende che esiste nel corpo una particella invisibile chiamata anima la quale lascia il corpo per continuare l’esistenza fuori di esso. E’ stata così inventata l’immortalità dell’anima vale a dire la sua indistruttibilità. Questa teoria non è biblica.

L’anima non è dunque immortale, domanderete voi? Assolutamente no.

Questa dottrina è il prodotto della pura immaginazione umana. L’espressione «anima immortale» non si trova affatto nella Bibbia. Per contro la parola «anima» si incontra spesso ma mai riferendosi ad una qualsiasi parte invisibile contenuta nel nostro organismo, che è suscettibile di continuare a vivere dopo la morte del corpo. In senso biblico la parola «anima» si applica all’uomo tutto intero, inteso come essere vivente o senziente ed appare per la prima volta al capitolo 2 versetto 7 della Genesi, che parla della creazione dell’uomo da parte di Dio. Ecco come questa viene descritta: «Ed il Signore Iddio formò l’uomo dalla polvere della terra e gli alitò nelle narici un alito di vita e l’uomo divenne un’anima vivente.» (Genesi 2: 7.)

Durante la prima fase della sua opera creativa, Iddio formò il corpo dell’uomo, usando la polvere della terra. Questo particolare ha una importanza che non va sottovalutata. L’uomo fu fatto di terra perchè la sua dimora deve essere terrena per tutta l’eternità. Egli non fu creato per il cielo perchè Iddio provvide a popolare le dimore celesti di creature spirituali. L’ordine di Dio, dato all’uomo, fu quello di crescere, moltiplicare e di riempire la terra, di renderela soggetta e vivere in perpetuo su essa. (Genesi 1: 28). Il primo uomo afferma l’apostolo Paolo, fu terreno. (1 Corinti 15:47).

Tutti i meravigliosi organi di quel corpo perfetto erano inattivi fino a quando la scintilla di vita non agì in essi. Nella seconda fase Iddio alitò nel corpo «un alito vitale.»

La vita si diffuse così rapidamente

I polmoni si dilatarono, il sangue, ossigenato e spinto dai moti cardiaci, iniziò il suo movimento circolatorio in tutto il corpo, svegliando rapidamente, come per una scossa elettrica, tutti i nervi. In un attimo l’energia sensitiva azionò il cervello, il quale cominciò a percepire. Pensiero, raziocinio, vista, tatto, odorato, udito, gusto, cominciarono altresì ad agire come per incanto. Quell’organismo umano, che pochi istanti prima era inerte, divenne in quel momento un essere senziente od anima vivente.

Le Scritture estendono il significato di «anima» anche agli animali di ordine inferiore, i quali, come l’uomo, sono esseri sensitivi, capaci cioè di vedere, sentire, gustare, odorare e, nei limiti delle proprie possibilità naturali, possono esercitare un certo grado di intelligenza, sebbene in misura notevolmente inferiore all’uomo.

Le diversità notevoli, intercorrenti fra l’uomo e la bestia, non devono essere ricercate in un diverso spirito o fiato vitale, che fu elargito dal Creatore in uguale misura e con le medesime prerogative a tutti gli esseri viventi, nè possiamo dire che l’uomo è un’anima vivente e la bestia no. Questa differenza è dunque ricercata nella materia di cui il corpo dell’uomo è costituito. L’uomo è superiore alla bestia perchè il suo corpo è più perfetto di quello della bestia, possiede altre caratteristiche, la sua vita si svolge in altro ambiente, sottostà ad altre leggi fisiche ed igieniche. La grandezza ed il peso del cervello indicano il grado di capacità e di intelligenza che un essere vivente può sviluppare. Ebbene, l’uomo fu dotato dal suo Creatore di una capacità cerebrale notevolmente superiore a quella della bestia. E’ noto, infatti, che quest’ultima ha tendenze assolutamente egoistiche, è incapace di poter apprezzare il sublime, non può discostarsi dalla volontà del suo padrone e sovrapporvisi. L’uomo e la bestia sono organicamente simili, in quanto formati da carne, ossa, nervi, tendini ecc. e nutrendosi dei medesimi cibi, ma non sono uguali. L’uomo, in virtù del suo corpo materialmente superiore, possiede capacità per lo sviluppo di una più alta intelligenza.

Il principio vitale, quindi, non è differente fra le varie creature di qualsiasi ordine e natura, viventi sulla terra, il cui fiato esce dalle nari - a differenza dei pesci. Questa affermazione è confortata dal racconto del diluvio, descritto in Genesi 6: 17 e 7: 15-22 e si accorda con l’insegnamento di tutta la Parola di Dio, la quale afferma categoricamente che «tutti hanno un medesimo respiro e l’uomo non ha alcun vantaggio sopra le bestie … tutti vanno in un medesimo luogo. Chi sa che lo spirito dei figliuoli degli uomini salga in alto e quello delle bestie scenda in basso, sottoterra?» (Ecclesiaste 3: 19-21). Nel capitolo 12 dello stesso libro, l’ispirato autore, dopo aver descritto la fugacità della vita, così conclude la descrizione dell’ultima tragedia: «L’uomo se ne va alla sua casa perpetua… e la polvere ritorna alla terra, com’era prima e lo spirito ritorna a Dio che l’ha dato.» (versetti 7-9).

Talune persone male ammaestrate vorrebbero appigliarsi a queste chiarissime affermazioni per usarle a sostegno delle loro assurde teorie. E’ uno sforzo vano e meschino. Abbiamo accennato sopra alla natura dell’alito vitale, il quale, giova ripeterlo, ha una sola prerogativa: quella di dar vita ed è comune a tutte le creature viventi di qualsiasi ordine e grado. Ogni creatura — le bestie comprese — al termine dei suoi giorni, nel restituire il corpo alla terra, riconsegna anche lo spirito vitale a Colui che l’ha dato ed a cui legittimamente appartiene. Volendo essere, anzi, più precisi, possiamo affermare che la espressione «e lo spirito ritorna a Dio che l’ha dato» denota semplicemente il fatto che l’uomo non potrà riprendere possesso della vita fino a quando il Creatore non lo risusciterà mediante Cristo Gesù. L’autore dell’Ecclesiaste, volle affermare proprio questo concetto quando scrisse: «Chi sà che lo spirito dei figliuoli degli uomini salga in alto e quello delle bestie scenda a basso, sotterra?»

Che lo spirito vitale non ha altra prerogativa che quella di dar vita e non costituisce la personalità, l’io, lo dimostra la risurrezione dei morti, senza la quale «anche coloro che dormono in Cristo sono perduti.» (1 Corinti 15: 18).

Le ultime parole che il Signore Gesù pronunciò sulla croce, furono: «Padre, nelle tue mani rimetto lo spirito mio. Tutto è compiuto.» Possiamo esser certi che il Padre intese questa ultima invocazione del suo Figlio morente, immediatamente. Ebbene, lo stesso Gesù quando, vincitore della morte e dell’Ades, al terzo giorno risuscitò! Così si espresse con Maria di Magdala: «Non mi toccare perchè io non sono ancora salito al Padre.» (Luca 23: 46 Giovanni 20: 17).

La differenza fra l’uomo e la bestia, quindi, è un fattore esclusivamente materiale e non spirituale e la personalità dell’uomo è data non da un diverso spirito vitale, ma da una diversa conformazione fisica e che ne fa di lui una creatura plasmata ad immagine e somiglianza (terrena) di Dio.

Questo concetto viene messo in evidenza dall’apostolo Paolo il quale così scrive ai Corinti: «Non ogni carne è la stessa carne, anzi, altra è la carne degli uomini, altra è la carne delle bestie, altra è fa carne dei pesci, altra è la carne degli uccelli.» (1 Corinti 15: 38-39).

Cerchiamo di rendere più chiari i concetti su esposti con qualche esempio. Prendiamo una candela. Questa, se spenta, corrisponderebbe al corpo umano inanimato; l’accensione, alla scintilla di vita impartita originariamente dal creatore; la fiamma o luce prodotta dalla combustione, all’essere senziente od anima; l’atmosfera ossigenata che, unita al carbonio produce la fiamma e quindi la combustione, allo spirito di vita, o fiato. Se un accidente qualsiasi producesse la distruzione della candela, la fiamma, conseguentemente, cesserebbe. Parimenti, quando il fiato vitale si diparte dall’uomo, l’esistenza od anima dell’uomo cessa. Una candela, se accesa, può a sua volta accendere infinite altre candele, ma una volta estinta la fiamma, non può ravvivare se stessa, nè le altre. Così l’uomo, mentr’è in vita, in determinate, favorevoli circostanze, può produrre e generare altre anime viventi, fino a quando la scintilla di vita non si dipartirà da lui, nel qual caso l’anima non è più una realtà assestante.

La candela potrà essere riaccesa mediante una nuova scintilla. Il corpo umano, privato del soffio vitale, ritorna alla polvere, ossia nel nulla e questa sua condizione sarebbe eterna se la potenza e la misericordia di Dio non provvedesse a rianimare quel corpo al tempo opportuno, mediante la risurrezione dai morti, senza della quale, la morte stessa segnerebbe la fine di ogni speranza per l’umanità.

«Se non v’è la risurrezione, afferma l’apostolo Paolo, coloro che sono morti in Cristo sono periti.» (1 Corinti 15: 18).

Il sonno della morte

Sia il Nuovo che il Vecchio Testamento parlano della morte come di un sonno. Le Sacre Scritture, nei riguardi di Abrahamo, affermano ch’egli «morì … e fu riunito al suo popolo» (Genesi 25: 8). Ora, i popoli presso cui egli visse, erano pagani ed il fedele Abramo dormì in mezzo a loro. Re Davide giacque coi suoi padri. (1 Re 2: 10). Quando Lazzaro, il fratello di Marta e Maria morì, Gesù disse: «Lazzaro, nostro amico, dorme,» (Giovanni 11: 11) e quando fu risuscitato dal sonno della morte, il racconto Evangelico ci dice che «il morto uscì» (idem vers. 44). La Bibbia non precisa che Lazzaro tornò sulla terra da un purgatorio o da un luogo di tormenti.

La verità semplice è che egli dormiva il sonno della morte, nell’incoscienza e che, al risveglio «uscì» dalla tomba.

Nessuno di coloro i quali sono stati risvegliati dal sonno della morte ha mai accennato, sia pure vagamente, ad un purgatorio o ad un inferno. Non avrebbero potuto farlo, nè avrebbero potuto esprimere il loro stato di incoscienza dal momento che dormivano!

La gloriosa speranza fornitaci dalla Parola di Dio non riposa su una negazione più o meno mascherata della realtà della morte, ma sulle promesse di Dio di richiamare in vita i morti.

Giobbe si domandò un giorno: «Se l’uomo muore può tornare in vita?» (14: 14). Il santo uomo di Dio non chiese se l’uomo quando muore, sia realmente morto, perchè sapeva che i morti tornano nel nulla e tale condizione sarebbe eterna senza speranza di un intervento divino. Questo, infatti, costituisce l’insegnamento di Gesù, confermato dall’apostolo Paolo nella Prima Epistola ai Corinti 15: 15-18.

I morti devono dunque risuscitare. Gesù disse a Marta: «Colui che crede in me, benché sia morto, vivrà e chiunque vive e crede in me, non morrà giammai in eterno.» (Giovanni 11: 25-26). Gesù ha le chiavi della morte ed Egli le adopererà al momento opportuno per aprire la grande e plurimillenaria prigione della morte.

Il Purgatorio

La parola «purgatorio» è completamente estranea alla Bibbia e meno che mai lo è la dottrina tradizionale del purgatorio stesso. La Parola di Dio sviluppa il concetto di una purificazione della razza umana. Infatti, ognuno converrà sulla necessità che tutti i popoli della terra hanno da purificarsi, perchè tutti sono imperfetti ed al di sotto del livello di giustizia indispensabile per essere giudicati degni di vivere eternamente in una condizione di pace e di felicità. Ma il «purgatorio» dei tempi oscuri del medioevo, quello creduto oggi dalla grande massa dei cattolici, non armonizza nella sua natura con la Parola di Dio nè rispetto al tempo stabilito nel Piano Divino per la sua attuazione pratica.

Questo dogma insegna che coloro i quali non sono abbastanza buoni per andare in cielo, al momento della loro morte, sono destinati in questo luogo di sofferenza e, dopo essere stati qui purificati, sono accolti nel cielo. Abbiamo visto, invece, che la Bibbia su questo punto è molto chiara: tutti, buoni e cattivi, santi e peccatori, alla morte cadono nel nulla, dimorano nell’incoscienza fino al giorno della risurrezione. Allora alcuni Figli di Dio riceveranno una ricompensa celeste. Essi saranno uniti a Gesù ed eserciteranno con Lui un’opera di benedizione a favore di tutti gli altri esseri umani, i quali, durante un periodo di mille anni, saranno risvegliati dal sonno della morte, per vivere di nuovo sulla terra, in qualità di esseri umani. Durante il Regno di Cristo costoro saranno nettati delle loro imperfezioni e preparati alla vita eterna sulla terra. I mille anni del Regno di Cristo saranno per tutti i popoli della terra un periodo di purificazione dal male, dal peccato, dalla morte.

Necessità del sacrificio di Gesù

Ora, non si tratta di purificare soltanto la razza umana dalle brutture del peccato. Come abbiamo visto, il peccato porta con sè inevitabilmente la morte, ossia il ritorno al nulla, ed il genere umano rimarrebbe eternamente in tale condizione se l’amore di Dio non avesse provveduto alla sostituzione della vittima per il pagamento della punizione del peccato. Questa sostituzione volontaria permessa, costituisce l’opera di Gesù Cristo, il diletto Figliuolo di Dio, che è divenuto così il «Redentore», ossia Colui che riscatterà il mondo dal potere del sepolcro. (Osea 13: 14; 1 Giovanni 2:2).

Isaia, così profetizzò di Gesù: «Egli è stato trafitto per le nostre trasgressioni, schiacciato per le nostre iniquità, il castigo per cui abbiamo la pace è caduto su di Lui, e per le sue lividure noi abbiamo ricevuta guarigione.» (Isaia 53: 5). L’apostolo Paolo, parlando di Gesù, così scrisse: «Vi è un sol Dio ed un solo Mediatore fra Dio e gli uomini: Cristo Gesù uomo, il quale ha dato sè stesso come prezzo di riscatto per tutti, secondo la testimonianza riserbata ai propri tempi.» (1 Timoteo 2:6).

Gesù disse ai suoi discepoli: «Il pane che io darò è la mia carne, che io darò per la vita del mondo.» (Giovanni 6:51). Tutte queste dichiarazioni indicano che la condizione per la salvezza e la pace con Dio risiedono esclusivamente nell’opera redentrice di Cristo. L’apostolo Pietro dichiarò di non esservi «nessun altro nome sotto il sole, che sia dato agli uomini e per il quale convenga essere salvati.» (Atti 4: 12).

Il sacrificio di Cristo non consente di sfuggire alla morte eterna se l’individuo non si pente delle sue opere malvagie e non accetta il dono che gli viene elargito. Bisogna che egli riconosca il riscatto di Cristo in suo favore, che compia sforzi per trarsi dal male ed essere purificato e liberato dall’influenza di questo. Le istruzioni della Parola di Dio in proposito formano una parte del Piano Divino per la salvezza dell’umanità.

Purificazione prima della morte

Come abbiamo notato, il purgatorio altro non è che una condizione di purificazione dai peccati. La Bibbia ne parla molto, ma in maniera del tutto differente dalla concezione tradizionale. Secondo la Parola di Dio la purificazione dei figliuoli di Dio ha luogo prima della morte. «Purghiamoci d’ogni contaminazione di carne e di spirito» scrive l’apostolo (2 Corinti 7: 1). Il cristiano deve realizzare questa condizione prima della morte e non dopo. Gesù paragonò sè stesso alla vite ed i suoi discepoli ai tralci: «il Padre celeste pota ogni tralcio che porta frutto affinchè ne porti di più.» (Giovanni 15: 1-8). Si tratta di un’opera di correzione, di raddrizzamento, che compie prima della morte, durante il tempo in cui il tralcio porta frutto e non dopo.

L’apostolo Pietro, le cui parole sono accettate con tanta autorità nella Chiesa Cattolica, così scrisse ai Cristiani: «Carissimi, non lasciatevi disorientare per la prova di fuoco che è in atto in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Ma, nella misura in cui partecipate alle sofferenze di Cristo, rallegratevi, perché anche nella manifestazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esaltare.» (1 Pietro 4: 12-13). Si parla qui di un «fuoco», o, come traducono le altre versioni, di «una fornace accesa.» Congiuntamente alla purificazione cristiana, osserviamo però che non si tratta di un fuoco letterale, che tormenta dopo la morte, ma dell’affinamento del carattere cristiano durante questa vita.

L’apostolo Paolo, da parte sua scrisse: «Il Signore corregge colui ch’Egli ama e flagella ogni figliuolo ch’Egli gradisce.» (Ebrei 12: 6). In questo testo non c’è nulla che lascia presupporre che i figliuoli di Dio saranno flagellati dopo la morte. Al contrario, mostra che, se noi amiamo il Signore ed Egli ci ama e si occupa di noi, un’azione educativa e repressiva in questa vita, è normale, affinchè possiamo meglio penetrare il senso della sua volontà e seguirla fedelmente.

Il Signore permette le prove, ma il cristiano deve intervenire di buon grado per compiere in sè un purgamento volontario. Così si esprime l’apostolo Paolo in proposito: «io disciplino il mio corpo e lo riduco in servitù, perchè, dopo predicato agli altri, io stesso non sia riprovato.» (1Corinti 9: 27).

Tutti questi passi della Scrittura mostrano che l’opera purificatrice deve penetrare nell’intimo della vita di ogni discepolo del Maestro. La Scrittura rivela inoltre che il soffio purificatore si prefigge di rendere il cristiano conforme al suo Signore. Non afferma l’apostolo Paolo che la volontà di Dio è che tutti coloro i quali sono stati preconosciuti sono predestinati ad essere conformi all’immagine del suo Figliuolo? (Romani 8: 28-29).

Numerose promesse contenute nella Bibbia stabiliscono che coloro i quali si purificano dei loro peccati, accettano Cristo come loro Redentore e camminano fedelmente sulle sue orme, saranno, alla risurrezione dei morti, riuniti a Gesù nelle dimore celesti e regneranno con Lui per mille anni, benedicendo tutto il genere umano vivente sulla terra.

Mille anni di “purgatorio”

La purificazione di cui innanzi concerne una piccola parte del genere umano. Gesù chiamò questo ristretto numero un «piccolo gregge» a cui al Padre è piaciuto concedere il Regno. (Luca 12: 32). Questi fedeli discepoli collaboreranno con Gesù al ristabilimento della razza umana sulla terra.

Durante questo Regno di mille anni, il genere umano in generale, compirà la sua purificazione da tutte le imperfezioni derivate dalla caduta di Adamo. Questo Regno di mille anni, nel corso dei quali Gesù e la sua Chiesa governeranno la terra, è chiamato altresì un «giorno di giudizio», giorno particolare, come si può rilevare, in rapporto alla sua durata. (2: Pietro 3:8; Atti 17: 31; Apocalisse 5: 10). L’opera di «giudizio» di questo giorno implica senza dubbio una regola educativa e, nello stesso tempo, inflessibile. Il profeta afferma «Ed egli (il Signore) farà giudizio fra molti popoli e castigherà nazioni possenti fin ben lontano.» (Michea 4: 3). Ed il profeta Isaia: «Secondo che i tuoi giudizi sono sulla terra, gli abitanti del mondo imparano la giustizia.» (Isaia 26: 9). Gesù sarà il gran Giudice in quel giorno e giudicherà i poveri in giustizia e renderà ragione in dirittura ai mansueti della terra e percuoterà la terra con la verga della sua bocca e ucciderà l’empio con il fiato delle sue labbra.» (Isaia 11: 4).

Questo ultimo testo sembra insistere sul fatto che, durante l’attuale periodo di giudizio o purificazione del mondo, coloro che non vorranno sottomettersi alla giustizia e continueranno ad opporsi alla volontà di Dio, saranno finalmente distrutti. E questo si accorda con il pensiero ispirato espresso dall’apostolo Pietro riportato nel libro dei Atti capitolo 3, vers. 19-23. Qui l’apostolo chiarisce che il secondo avvento del Signore Gesù coinciderà con l’inizio dei tempi di «restauramento di tutte le cose» ed aggiunge che «ogni anima che non avrà ascoltato quel profeta, sarà distrutta di mezzo al popolo». Il profeta di cui parla l’apostolo è Gesù già annunziato da Mosè. Da notare che l’apostolo precisa che ogni anima disobbediente sarà distrutta.

Coloro che dormono saranno svegliati

Le benedizioni del Regno saranno accessibili a tutti, tanto ai morti che a coloro che dormono e saranno risvegliati. Il profeta Daniele scrisse: «E la moltitudine di coloro che dormono nella polvere della terra, si risveglieranno.» (Daniele 12: 2). Queste parole ci riportano nell’Eden, al tempo in cui Iddio disse al nostro primo progenitore: «Tu sei polvere, tu ritornerai altresì nella polvere.» (Genesi 3: 19). Ma lo stesso Dio afferma, a mezzo del suo profeta che coloro i quali sono ritornati alla polvere nel corso dei secoli, dovranno essere restituiti alla vita, sulla terra, la quale è stata stabilita per essere la dimora eterna dell’uomo. (Isaia 45: 18). Gesù disse: «L’ora viene che tutti coloro che sono nei monumenti (sepolcri) udiranno la sua voce ed usciranno, coloro che hanno fatto bene in risurrezione di vita e coloro che avranno fatto male in risurrezione di giudizio.» (Giovanni 5: 28-29 Versione Riveduta Italiana). Coloro che hanno fatto bene sono i seguaci di Cristo, i quali hanno seguito le sue orme e si sono purificati dal peccato nel corso di questa vita. Essi risusciteranno per la vita, ossia passeranno direttamente nella gloria celeste per vivere e regnare con Cristo. Coloro che avranno fatto male, ascolteranno ugualmente la voce del Maestro ed usciranno dai sepolcri ma, come Gesù afferma, risusciteranno per il giudizio. Cosa significa ciò? La parola greca tradotta per «giudizio» in questa promessa mirabile di Gesù, «Krisis» ha lo stesso significato della parola italiana «crisi» che significa prova, «periodo critico risolvente», «decorso». Nel dire che un malato attraversa una crisi, si vuol intendere che il decorso della sua malattia attraversa un periodo di miglioramento che si conclude col recupero della salute, o col peggioramento che conduce alla morte.

Sarà così per il genere umano durante il periodo di purificazione del Regno Messianico. Coloro che avranno fatto male, praticamente tutti gli uomini, saranno svegliati dal sonno della morte e provati per la vita eterna, attraverso un tempo di crisi o di giudizio durante il quale non mancherà loro la luce della Verità che rivelerà le intenzioni di Dio. Tutta l’umanità riceverà l’opportunità di credere in Lui e di obbedire alle Leggi del suo Regno. Accettare ed ubbidire significherà allontanarsi dal peccato e tornare verso Dio e la sua giustizia, significherà superare la crisi ed essere sulla via della Verità.

Questa via, però, non sarà facile ed il percorrerla richiederà grandi sforzi. Il grado di opposizione alla giustizia in questa vita determinerà la severità delle purificazioni per le quali gli individui dovranno passare per ottenere la vita eterna. Gesù ci ha lasciato in proposito una massima molto appropriata su tale soggetto. Egli afferma, infatti, che «il servitore che ha conosciuto la volontà del suo Signore e non si è disposto a far secondo la volontà d’esso, sarà battuto di molte battiture, ma colui che non l’ha saputa, se fa cose degne di battiture, sarà battuto di poche battiture.» (Luca 12: 47-48). In altri termini il rigore della disciplina per ogni membro del genere umano dipenderà dalla misura di premeditazione con il quale egli ha peccato.

Gesù afferma che coloro i quali hanno fatto male durante questa vita risusciteranno per il giudizio o «crisi.» Ma essere semplicemente risvegliati dal sonno della morte non significa essere completamente risuscitati, questo diventa più chiaro quando si consideri la profondità dell’abisso in cui l’umanità è precipitata e l’immenso cammino che essa deve percorrere onde riconquistare quella primaria perfezione che Adamo conobbe prima di trasgredire la Legge divina.

Il ritorno della vita è il primo passo verso il ristabilimento della perfezione originale. Gli altri passi successivi e progressivi saranno subordinati all’obbedienza ed alla sottomissione della volontà di Dio. La risurrezione definitiva e reale sarà operata per gradi o «crisi», o giudizi attraverso i quali l’umanità si avvicinerà sempre più la perfezione integrale, che è il fine ultimo della creazione.

La via della santità

Il progresso verso la santità, durante il periodo di cambiamento per il mondo, viene paragonato dal profeta Isaia alla marcia di un uomo che deve passare attraverso una strada che egli chiama «il cammino della santità.» (Isaia 35: 8-9).

Quel cammino condurrà alla giustizia, alla perfezione e colui che lo attraverserà non potrà dimorare volontariamente in uno stato di contaminazione. Il profeta aggiunge: «ivi non sarà leone, o alcuna delle fiere rapaci non vi salirà.» Rendiamo grazie a Dio per questa assicurazione. Oggi il diavolo «come un leone ruggente» va attorno, cercando chi egli possa divorare (1: Pietro 5: 8), ma all’inizio del giudizio del mondo il Diavolo sarà legato e non potrà nè sedurre, nè nuocere. (Apocalisse 20: 1-3). Molte persone oggi sono di continuo vittime di fiere rapaci, delle tentazioni e dei vizi, dai quali è quasi impossibile separarsi. Fra breve tutto sarà cambiato per colui che si avvierà verso la strada della santità e della perfezione umana. Il profeta va ancora oltre: «E quelli che dal Signore saranno stati riscattati ritorneranno e verranno in Sion con canto, ed allegrezza eterna sarà sopra il loro capo; otterranno gioia e letizia ed il dolore ed i gemiti fuggiranno.» (Isaia 35: 10). Questa strada dell’avvenire si concluderà con un ritorno alla vita eterna per «coloro che sono stati riscattati.» Essi ritroveranno la santità e la gioia della vita per sempre.

Chi sono «coloro che saranno riscattati?» Risponde a questa domanda l’apostolo Paolo: «Gesù ha dato sè stesso per prezzo di riscatto per tutti.» (1Timoteo 2:6). Tutti gli uomini appartengono a Gesù perchè Egli li ha riscattati tutti, offrendo la sua propria vita sulla croce del Calvario.

«E quelli che dal Signore saranno stati riscattati ritorneranno e verranno in Sion con canto ed allegrezza eterna sarà sopra il loro capo; otterranno gioia e letizia ed il dolore ed i gemiti fuggiranno.» Quale prospettiva meravigliosa! Certo, le vie di Dio sono infinitamente più elevate delle nostre vie ed i suoi pensieri, dei nostri. (Isaia 55: 8-9).

Dal Purgatorio al Paradiso

La Bibbia afferma categoricamente che la terra è stata formata per essere la dimora permanente dell’uomo e che questi, a sua volta, è stato creato per vivere su di essa e non nel cielo. Che la Chiesa di Cristo, formata nel corso della attuale dispensazione Evangelica, sia chiamata per occupare una posizione speciale e celeste con Gesù, non cambia nulla del Piano che Dio tracciò dalle origini nei riguardi del genere umano in generale.

Il profeta Isaia scrive che Dio non ha creata la terra per essere deserta, ma abitata (45: 18) e questo pensiero è in armonia con quanto riferito in Genesi in merito al racconto creativo, dal quale si desume, fra l’altro, che la terra, secondo i piani dell’Eterno, è stata creata per essere il regno ideale ed il dominio dell’uomo. (Genesi 1:27-28).

Possiamo affermare oggi che, malgrado tutto, il Piano primitivo di Dio non è venuto meno. L’uomo, è vero, ha trasgredito la Legge divina ed ha meritato la pena di morte, che, d’altronde, ha subito. Ma, grazie alla redenzione di Gesù, gli effetti del peccato dovranno essere definitivamente eliminati. Quindi, rispetto al risultato finale, il Piano di Dio non è mancato. L’uomo ha popolata la terra, sia pure di una razza morente, ma questa razza sarà richiamata in vita e ristorata nel corso dei mille anni di giudizio che comincerà ben presto. Alla fine di questo periodo di “purgamento” — il vero purgatorio delle Scritture — coloro che avranno superata la prova con successo ed avranno raggiunto il grado di perfezione umana, vivranno eternamente sulla terra, anch’esse ristorate alle primitive condizioni edeniche.

Attraverso il “fuoco” di purificazione

A seguito di una errata interpretazione del simbolismo biblico, molti credono che il nostro pianeta dovrà essere distrutto, alla seconda venuta di Gesù. Questa veduta non è scritturale. La Parola di Dio ci assicura, al contrario, che la terra «sussiste in perpetuo.» (Ecclesiaste 1: 4). Le profezie che trattano questo fuoco simbolico che deve dissolvere i cattivi elementi della società politica e religiosa, si compiono prima dello stabilimento del Regno di Cristo. «Gli elementi divampati si dissolveranno», scrive l’apostolo Pietro (2 Epistola 3: 10). Non si tratta della dissoluzione del sole, della luna, delle stelle e della terra, ma delle istituzioni ingiuste della società umana, le quali devono essere consumate ed annientate, perchè possa regnare il Regno di Cristo.

Dopo aver fatto allusione alla rovina di questo mondo egoista, lasciato da tempo in balia alle sue tendenze, l’apostolo Pietro ci rammenta i propositi di Dio di stabilire un nuovo ordine di cose, «nuovi cieli e nuova terra, nei quali giustizia abita.» (2: Pietro 3: 13). Ritroviamo queste promesse divine in tutti i profeti antichi. Isaia, nel capitolo 65 del suo libro (versi 17 a 25), descrive le favorevoli condizioni che sussisteranno sulla terra in quel tempo: “Pianteranno le vigne e ne mangeranno il frutto, edificheranno le case e vi abiteranno… e faranno invecchiare l’opera delle loro mani„.

Questo sarà dunque il paradiso eterno! In esso l’umanità abiterà in pace! La gioia e la vita eterna saranno concesse a tutti i miliardi di esseri umani che, pur essendo stati nella presente età nobili di cuore e timorati di Dio, erano tuttavia accecati dall’ignoranza e dalle superstizioni d’ogni sorta, soggiogati dal peccato, impediti di accettare Cristo ed essere fedeli servitori di Dio.

Dio non ha mai avuto l’intenzione di torturare queste creature per l’eternità. D’altra parte, nella notte dei secoli e nel silenzio apparente, Dio elaborava la realizzazione del suo Piano per la restaurazione dell’umanità, alla felicità e la vita eterna. Egli ha inviato a costoro Gesù perchè fosse il loro Redentore, ed ha scelto dal mondo gli uomini di fede, pronti al sacrificio, per renderli partecipi delle dimore celesti, per associarli a Cristo in questa opera gloriosa di guarigione e di ristorazione.

Uno sguardo panoramico, dato all’insieme del piano di Dio, ci mostra l’armonia e la coordinazione perfetta di tutte le sue parti. Una moltitudine immensa di uomini sono morti senza avere mai avuto opportunità di conoscere Gesù e la sua opera redentrice. Costoro non sono stati dimenticati, ma, risvegliati dal sonno della morte al momento opportuno, saranno da Dio illuminati ed istruiti e verrà loro offerta la opportunità di ottenere la vita eterna. Tale è stato il Piano elaborato dal Creatore alle origini, in favore delle sue Creature.

Oggi tutti i segni premonitori della venuta di questi tempi felici, si stanno sviluppando rapidamente. Le profezie relative alla fine del disordine seguito da Satana sono in via di compimento, e questo non avviene senza provocare torbidi e distrette dappertutto. Ci consoli, però, la certezza della prossima, gloriosa manifestazione del Regno Cristo, che riverserà su questa povera umanità, a fiumi, le ricche benedizioni celesti, la pace vera e duratura, la gioia di una vita pura, santa ed irreprensibile.

Questa realizzazione gloriosa del Piano divino è contenuta nella preghiera modello insegnataci da Gesù: “…il Tuo Regno venga, la Tua volontà sia fatta sulla terra, com’è fatta nei Cieli …„.

Continuiamo a pregare, fiduciosi nella realizzazione delle promesse del nostro amoroso Padre Celeste.